lunedì 28 gennaio 2013

I migliori come esempio

Questo articolo, tradotto da "voci dalla Germania" (link a fondo pagina) è apparso sul sito tedesco: NachDenkSeiten, un sito critico verso la politica della cancelliera, certo, ma quello che è interessante notare dal discorso della Merkel a Davos, è che ormai il disegno è chiaro e la germania non fa niente per nasconderlo, si vuole arrivare ad una stabilità interna dell' Europa adottando in tutti i paesi il modello tedesco, per poi iniziare una politica espansionistica verso i mercati extraeuropei, avendo a quel punto una grande competitività data da un enorme bacino di lavoratori sottopagati e senza diritti nei paesi che oggi vengono chiamati PIIGS, nei quali la germania, dopo aver messo in ginocchio l' economia, potrà acquistare aziende e delocalizzare le proprie, il tutto con la colpevole complicità dei governi di tutta Europa, si tratta di uno dei più cinici disegni economici di tutti i tempi che sta provocando un' ondata di suicidi tra i piccoli e medi imprenditori che, in questo disegno non sono contemplati, e infatti non ce la fanno più, e tra le fila dei nuovi disoccupati, che avevano un certo stile di vita, e ora non hanno pi un redditto per mantenerlo.

Merkel a Davos illustra la sua Agenda per l'Europa. Il punto centrale resta lo stesso: non siamo noi a dover alzare i salari, siete voi a dover deflazionare. Solo in questo modo l'Unione monetaria tornerà ad essere competitiva. Qualcuno avrà il coraggio di sfidarla su questo terreno? Da NachDenkSeiten, sito di analisi politica ed economica critico verso il rigorismo Merkeliano.

Al Forum di Davos la Cancelliera è stata finalmente chiara e ha illustrato i concetti di base della sua agenda per l'Europa. Merkel non sembra aver capito granché e vuole approfittare della situazione per attuare un cambiamento radicale in Europa. In maniera molto garbata ha ammesso che la crisi offre la possibilità di applicare all'intera Europa la sua agenda economica. Un'analisi


Quando Angela Merkel tiene discorsi importanti si serve sempre della stessa struttura testuale. A Davos tuttavia ha fatto un ulteriore passo in avanti. Anche se il suo discorso - come sempre - resta manipolatorio e caratterizzato dal solito politichese, ieri nella descrizione della sua Agenda Europea è stata un po' piu' concreta. La sua richiesta principale è stata riassunta nel modo seguente:

"In Europa vogliamo - e su questo nell'Unione Europea c'è accordo - trasformare l'Unione monetaria e quella economica in una unione di stabilità. E' il contrario di una piccola operazione d'emergenza. Piuttosto è un percorso permanente - una strada, le cui idee guida sono da un lato le riforme strutturali per una maggiore competitività e dall'altro il consolidamento delle finanze statali. Voglio qui sottolineare ancora una volta: per me le due cose sono strettamente connesse. Consolidamento e crescita sono due facce della stessa medaglia, quando si tratta di ripristinare la fiducia".

La domanda è spontanea: di quale fiducia sta parlando Merkel? Si tratta della fiducia del popolo? Oppure della fiducia dei mercati? Naturalmente la seconda, è stata la Cancelliera stessa ad aver indicato come guida dell'azione politica la "democrazia basata sui mercati". Da un punto di vista economico Merkel racconta una bugia intenzionale: crescita e consolidamento delle finanze pubbliche vanno mano nella mano. Fatto recentemente smentito anche dal FMI nella discussione sul moltiplicatore fiscale - e il FMI non puo' essere certo sospettato di fare del romanticismo sociale. Frau Merkel questo la sa bene. Ma non si tratta solo del consolidamento delle finanze statali, per lei questo è solo la leva con cui puo' costringere gli altri stati sovrani ad adottare la sua Agenda:

"Si pone anche la domanda, quanto è forte la volontà politica di tenere insieme la zona Euro, quanto è vera la disponibilità alle riforme e quanto è grande la solidarietà nella zona Euro. Io credo che negli ultimi 12 mesi su questi punti abbiamo fatto passi in avanti significativi (...)

La situazione in cui ci troviamo in questo momento, in realtà, è caratterizzata dal fatto che il fattore tempo gioca un ruolo decisivo. Abbiamo preso misure di consolidamento (...) e realizzato un'ampia varietà di riforme strutturali (...)

Ora è necessario utilizzare il tempo, affinché la situazione politica non abbia una escalation, e affinché non si crei nuova instabilità".

La crisi Euro per la Cancelliera rappresenta una possibilità, limitata nel tempo, durante la quale i nostri vicini di casa saranno disponibili a fare le riforme. C'è da meravigliarsi se Merkel si è opposta ai tentativi di disinnescare l'Eurocrisi attraverso una politica attiva della BCE? No, la strategia di Merkel è quella che Naomi Klein chiamerebbe Schock Strategy - l'uso di una crisi per far passare riforme che non sono volute né dai parlamenti né dal popolo. A Davos su questo punto si è espressa in maniera ancora piu' chiara:

L'esperienza politica ci dice che spesso per ottenere riforme strutturali è necessario esercitare pressione. Ad esempio anche in Germania i disoccupati sono dovuti arrivare fino a 5 milioni, prima di ottenere la disponibilità all'attuazione delle riforme strutturali. La mia conclusione è questa: se l'Europa oggi è in una situazione difficile, è necessario introdurre riforme strutturali, affinché domani si possa vivere meglio".

Se Angela Merkel e il suo pubblico a Davos potranno vivere meglio con le loro "riforme strutturali", resta una questione aperta. Milioni di tedeschi, che vivono di Hartz IV oppure sono occupati con un basso salario (Niedriglohnsektor), vedono la questione in maniera diversa. Se si considera l'effetto negativo del settore a basso salario sulla struttura salariale complessiva, si puo' dire che le riforme hanno avuto un solo risultato: a pochissimi oggi va molto meglio, e a tantissimi oggi va molto peggio. I rappresentanti di questa grande maggioranza purtroppo non erano presenti a Davos. Quale ironia della storia, il predecessore di Merkel, Schröder, aveva candidamente presentato 8 anni prima le motivazioni delle sue riforme strutturali esattamente nello stesso luogo:

"Dobbiamo e abbiamo già liberalizzato il nostro mercato del lavoro. Abbiamo dato vita ad uno dei migliori settori a bassa salario in Europa". Gerhard Schröder durante il suo discorso del 28.01.2005 al World Economic Forum di Davos.

Schröder puo' essere orgoglioso del suo successore e della sua sorella nello spirito. Quello che Schröder ha applicato in Germania, sarà applicato da Merkel in tutta Europa:

"Come possiamo essere sicuri di poter raggiungere nei prossimi anni una coerenza in termini di competitività anche all'interno dell'Unione monetaria? E a tale proposito non considero un livello di competitivà medio, piuttosto una competitività misurata dal fatto che avremo accesso ai mercati mondiali (...) Io immagino - e di questo stiamo parlando nell'Unione Europea - che sottoscriveremo un patto analogo al Fiskalpakt, con il quale gli stati membri si impegneranno ad aumentare il proprio livello di competitività su determinati punti che in questi paesi non raggiungono un livello sufficiente. Si tratterà di temi come il cuneo fiscale, il costo del lavoro per unità di prodotto, le spese per la ricerca, le infrastrutture e l'efficienza amministrativa".

L'Europa dovrà quindi seguire il modello tedesco, tagliare lo stato sociale e comprimere il costo del lavoro. L'Europa perde quindi credibilità in quanto mercato e sceglie invece di impegnarsi in una competizione sui salari con i paesi in via di sviluppo. La cancelliera ha inoltre chiarito che cosa intende per armonizzazione a livello europeo dei costi del lavoro per unità di prodotto. La Germania, secondo il messagio di Merkel, avrebbe fatto tutto bene. Cosi la Cancelleria di Berlino ha pubblicato in rete il discorso di Merkel con il titolo provocatorio: "I migliori come esempio". Quindi siamo i migliori, eh si'.

E' sorprendente quanto sia difficile imparare per la Cancelliera. Fra gli economisti amici di Merkel non vi è alcun dubbio : l'Eurozona potrà avere un futuro solo se i costi del lavoro per unità di prodotto e la produttività all'interno dell'Unione monetaria potranno convergere. Alla convergenza appartengono naturalmente entrambi i lati. La Germania dovrebbe necessariamente muoversi verso i suoi vicini, ad esempio attraverso salari piu' alti, indispensabili per una convergenza economica. Ma di cio' la Cancelliera non ne vuol sapere. Se fosse per lei, l'Europa avrebbe una sola strada - la via verso il basso, il percorso della moderazione salariale, della riduzione dei diritti dei lavoratori e della scomparsa dello stato sociale. Imparare dalla Germania significa imparare a vincere, i migliori come esempio.

Come i nostri vicini abbiano interpretato il messaggio, è abbastanza chiaro. La domanda centrale dovrebbe essere: quale diritto vorrebbe avere Angela Merkel? Già Brecht sapeva che solo i vitelli piu' stupidi si scelgono da soli il loro macellaio. I vitelli tedeschi devono essere abbastanza stupidi, non sarebbe possibile spiegare altrimenti il successo di Merkel. Ma su questo i nostri vicini di casa non possono fare nulla. L'Europa non è un protettorato tedesco, piuttosto l'unione di diversi stati sovrani e la Cancelliera non ha alcun mandato per dettare la sua politica agli altri stati sovrani. Tuttavia, se pretende di avere "in Europa un ruolo molto proattivo", come scritto sul sito internet della Cancelliera, Merkel non ha fondamentalmente capito che cosa esattamente significhi la democrazia.

Per raggiungere i suoi obiettivi, procede mano nella mano con la Commissione Europea. Qualcuno si meraviglia che gli europei siano stanchi di questa Europa? Un Europa che serva solo a limitare la democrazia, la sovranità e la partecipazione degli europei non ha futuro e nessuna ragione di esistere. Se gli europei vogliono salvare l'Europa e il pensiero europeo, devono liberarsi da questo abuso. Devono sfidare Merkel. E' arrivato il momento, nonostante tutto!   Vocidallestero.blogspot



domenica 27 gennaio 2013

Fabrizio Tringali - E' vero che in Germania si guadagna più che da noi, o è vero che si contengono i salari?

Il blog byoblu.com (con il quale ho il piacere di collaborare) ha recentemente pubblicato un video in cui si sostiene che il "costo della vita" in Germania è inferiore a quello italiano, mentre gli stipendi sono di gran di lunga superiori. Sembra così avallata la tesi che vede nella nazione tedesca il modello da seguire per superare la crisi economica che ci affligge.
Abbiamo già parlato di quanto sia falsa l'idea che in Germania si guadagni il doppio rispetto all'Italia.

I contenuti di questo filmato ci offrono ulteriori spunti per sfatare ulteriormente quelli che, in realtà, non sono altro che luoghi comuni, spesso usati per mascherare le reali ragioni della crisi.

Dunque, il video mostra come molti beni di consumo vengano venduti a prezzi inferiori rispetto a quelli praticati in Italia. Probabilmente questo è vero, anche se magari non è così dappertutto. Certamente potremmo trovare supermercati italiani dove molta merce risulta più a buon mercato rispetto a negozi tedeschi.

Ma non è questo il punto. Ciò che conta è che in Germania i prezzi crescono meno che da noi. Su questo non ci piove. Noi, critici dell'euro, non facciamo quasi altro che sottolineare questo fatto, perché è su questo che si è costruita la maggior competitività della Germania rispetto a noi (che è il motivo per cui siamo in crisi, dato che avendo lo loro stessa moneta, non possiamo difenderci svalutando).

La questione centrale diventa quindi quella di capire come ha fatto la Germania a far crescere meno i suoi prezzi. Lo ha fatto contenendo i salari e comprimendo, così, la domanda interna (una bassa domanda interna frena l'aumento dei prezzi).

E qui casca l'asino. Il video infatti afferma il contrario: si parla dello stipendio della cassiera del supermercato (1800 euro, che non è certo alto se è lordo, ed anzi è davvero basso se la signora ha una alta anzianità di servizio), degli stipendi medi (che sono effettivamente alti), e del premio di produzione della Volkswagen.

Il fatto è che se guardiamo agli stipendi degli operai specializzati, dei lavoratori assunti magari 20 anni fa (quindi con lunga anzianità e garanzie contrattuali), probabilmente troveremo che molti di essi stanno meglio dei corrispettivi italiani.

I LORO salari alzano la media totale.

Ma questi lavoratori non rappresentano che una parte del mondo salariato tedesco. E, prevalentemente, non è su di loro che si è scagliata la mannaia delle tanto decantate (dalla UE) riforme del lavoro introdotte in Germania.

E' sui giovani, che cercano per la prima volta un lavoro, oppure sui meno giovani che lo perdono, che si concentra l'aggressione ai diritti e ai salari. E' soprattutto grazie a loro che la Germania vanta la più alta quota di lavoratori a basso reddito di tutta l'Europa occidentale (il 22.2%).
Ecco perché, nonostante sia vero che esistano lavoratori tedeschi con alti stipendi, è del tutto corretto sostenere che la Germania abbia aumentato la propria competitività mantenendo bassa l'inflazione grazie al contenimento delle retribuzioni.

Chi dovesse avere ancora dubbi, ma non avesse voglia di leggersi la documentazione che abbiamo pubblicato, si fidi almeno delle parole del commissario UE agli affari sociali (la Germania ha tenuto i salari troppo bassi rispetto al resto d'Europa) e di quelle di Roland Berger, "superconsulente" di Angela Merkel (sono i sacrifici dei lavoratori tedeschi ad aver permesso di abbassare i costi dei prodotti tedeschi e guadagnare competitività).

Il Mainstream.blogspot

sabato 26 gennaio 2013

Noi, vittime della bufala del debito pubblico


I numeri non mentono, la scienza economica, che è diversa dalla teoria economica, non mente, i giornali, le televisioni, i politici, gli affaristi....mentono quasi sempre, ci raccontano da un anno che il problema è il debito pubblico, causato dallo stato, brutto, corrotto, improduttivo, sprecone, tutto per toglierlo di mezzo definitavamente e permettere a chi di dovere di fare i propri intrallazzi a piacimento, sia che si trovi a Roma, a Milano, a Bruxelles o a New York, invece il debito pubblico italiano ha origini e cause ben specifiche, e i media omettono di dire che la causa dell' ultima impennata del debito pubblico è stato l' eccesso di indebitamento privato con l' estero, più propriamente con i paesi "core" dell' Eurozona.

Se non mi soffermo più di tanto sul divorzio Banca d' Italia/tesoro, perchè il discorso è fin troppo ovvio, essendosi la banca centrale svincolata dall' obbligo di fungere da prestatore di ultima istanza acquistando le quote di titoli di stato rimaste invendute alle aste, lo stato, di fatto si consegna ai mercati, e da quel momento non decide più lui stesso a quali tassi emettere i titoli, ma è il mercato a deciderli, trasformando lo stato in un soggetto qualsiasi che debba bussare alle porte della banca per finanziarsi, un discorso più interessante (perchè più strettamente legato all' euro) è quello concernente il ciclo di Frenkel, che ha portato l' Italia nella situazione in cui si trova, a partire dalla sua entrata nella N€UROZONA, come si sviluppi questo ciclo, è troppo lungo da spiegare, quindi vi rimando al post di Goofynomics nel quale l' economista, ricercatore e docente universitario Alberto Bagnai, spiega in maniera facile (for dummies direi) e divertente, quello che divertente non è, anche perchè è lo stesso ciclo economico che ha mandato a gambe all' aria l' Argentina e che si è verificato un centinaio di volte nell' ultimo secolo; questo a dimostrare, se ancora ce ne fosse bisogno, che era già tutto previsto.
Un ringraziamento al blog la solitudine dei numeri reali, dal quale ho preso e parzialmente modificato il grafico, vi ricordo che per vederlo in dimensioni reali, basta aprirlo in una nuova scheda o in una nuova pagina.

venerdì 25 gennaio 2013

Mario Draghi - Per recuperare sovranità...bisogna cederla



Mario Draghi, al forum economico mondiale di Davos, chiarisce definitivamente quali sono i piani della BCE, egli ci vuol far credere che l' unico modo per recuperare una sovranità nazionale, è quello di cederla del tutto a un organismo sovranazionale (?) nel quale finalmente tutti avranno voce in capitolo, e questo lo si è capito dal' ultima crisi...ecco a cosa servono le crisi in Europa, niente di nuovo, come ho scritto qui personaggi come Prodi, Jacques Attalì, Padoa Schioppa, ce lo avevano già ampiamente detto prima.

Mario Draghi chi ? L' ex vicepresidente di Goldman Sachs ? Quello che da Direttore Generale del ministero del tesoro, nel 1992 svendette letteralmente per due lire l'industria pubblica italiana facendo ottenere surplus da capogiro agli acquirenti (italiani ed esteri) e commesse miliardarie agli intermediatori tra cui anche la Goldman (e che te lo dico a fà), il 70% delle quali (aziende) era in attivo ? Banche, assicurazioni, agroalimentare, telefonia, autostrade, energia, siderurgia, chimica etc, etc ? Quel Mario Draghi, sarà un caso, ne siamo certi che cominciò questa opera di smantellamento dopo la famosa crociera del panfilo Britannia, con il quale la Regina Elisabetta si portò in Italia anche i "British invisibles", una specie di confindustria dei servizi, che aveva contribuito alle massicce privatizzazioni Tatcheriane in Inghilterra e che oggi si fanno chiamare "Internacional Financial Services"?
Fra gli italiani che salirono a bordo del panfilo vi furono banchieri pubblici e privati, manager dell’Iri e dell’Efim, rappresentanti di Confindustria e vi fu anche Mario Dra­ghi, allora direttore generale del Tesoro nel governo di Giuliano Amato.
Come al solito, devo precisare che non stiamo parlando di riunioni di incappucciati, questo meeting tra "amici" è ampiamente documentato da resoconti giornalistici e, tra gli altri, dall' ex ministro Rino Formica e dall' ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
Ebbene, ora questo personaggio dal passato "cristallino" che, quando gli è stato affidato un incarico pubblico, ha fatto il male e solo il male degli italiani, ci viene a dire che la nostra salvezza sarà cedere la restante sovranità nazionale nelle mani dell' unione europea, governata da banchieri ed ex banchieri e nella quale vivono stabilmente 18.000 lobbisti delle più svariate multinazionali !

VOTA PUDE !

Riprendiamo dal blog Goofynomics, per vedere l' immagine nelle dimensioni originali, apritela in una nuova scheda o in una nuova finestra, il link per leggere il post è sotto l' immagine.






giovedì 24 gennaio 2013

Giorgio Cremaschi - Sta per arrivare l' inferno ma i candidati non lo dicono

Il capo economista del Fondo Monetario Internazionale ci fa sapere, come riporta il Sole 24 Ore, che i governi e le istituzioni europee hanno sbagliato i conti. Merkel, Draghi, Monti hanno operato finora sulla base di previsioni e calcoli secondo i quali un punto di taglio del deficit pubblico avrebbe prodotto mezzo punto di riduzione della crescita.

Invece, afferma il Fondo Monetario, il danno è molto più pesante. Un punto di tagli produce un punto e mezzo di danno economico, cioè tre volte le previsioni. Da qui la recessione sempre più pesante e senza soluzione che sta dilagando in Europa.

Hanno sbagliato i conti insomma e la politica di austerità che hanno consapevolmente deciso ha prodotto disoccupazione e povertà tre volte di più di quanto avevano pensato di farci pagare.

In concreto questo vuol dire che il pareggio di bilancio come obbligo costituzionale, che lo ripeto è stato votato anche da Lega e Idv, il patto fiscale europeo che ci obbliga a ridurre l’ammontare del debito pubblico della metà in venti anni, il rigore non sono più economicamente e socialmente sostenibili. Con buona pace della politica di unità nazionale che ha deliberato queste scelte e dello stesso Presidente della Repubblica che le ha auspicate e benedette.

Tutte queste scelte vanno concretamente e rapidamente messe in discussione, cioè revocate.
Perché per rimediare ai danni sarà necessaria una politica economica, di segno opposto a quella sinora attuata, che come prima misura decida di rompere il tabù liberista che domina il nostro continente. Quel tabù che invece viene messo in discussione nel resto del mondo, dagli Stati Uniti al Giappone alla Cina all’America latina. Parliamo del tabù del debito e del pareggio pubblico.

Per affrontare la crisi e il suo primo effetto, la disoccupazione di massa, bisogna spendere soldi pubblici senza timore di aver un bilancio in deficit. E dunque in Italia ed in Europa deve saltare tutto il sistema di patti, accordi, regole che promuovono e disciplinano l’austerità.

In Italia il confronto elettorale parla d’altro, anche se la campagna elettorale si fonda sulle promesse più varie. Monti evidentemente non può certo smentire sé stesso. Berlusconi è sicuramente capace di farlo, ma proprio per questo non ha alcuna credibilità. Bersani infine nel proprio programma elettorale ha scritto che si impegna a rispettare tutti gli impegni assunti e lo ribadisce in continuazione per rassicurare l’Europa e lo spread.

Anche chi si oppone a questi tre leader e ai loro schieramenti non affronta davvero questi temi e in ogni caso non li mette al centro della propria propaganda. Grillo a volte ne parla, ma poi al centro di tutto mette la lotta al sistema dei partiti. Ingroia pure vi accenna, ma ben dopo i temi della legalità che gli sono più cari.

Così trionfano nel confronto sulla politica economica i “ma anche” di veltroniana memoria: coniugare austerità e crescita, rigore con equità sono le formulette abusate che non vogliono dire un bel nulla.
La crisi economica mondiale si è alimentata pochi anni fa dalla esplosione della bolla finanziaria. In Italia la crisi politica è assorbita in una bolla mediatica che sta gonfiando queste elezioni presentando uno scontro tanto più aspro quanto più si allontana dalle decisioni vere da assumere.

Prima o poi la bolla mediatica scoppierà come è successo per i quella dei derivati, e il peso delle decisioni non prese e nemmeno discusse davvero si abbatterà su di noi con il perdurare della crisi.
Dobbiamo quindi pretendere da chi si candida alle elezioni che dica con chiarezza se vuol mantenere o mettere in discussione pareggio di bilancio e fiscal compact. È su questo che ci si divide in Europa alle elezioni e sarebbe ora che accadesse anche da noi, nonostante la bolla mediatica.

Giorgio Cremaschi - Micromega

mercoledì 23 gennaio 2013

Mario Monti - Storia di un golpe finanziario



Fino a quando qualcuno non riuscirà a confutare l' evidenza dei fatti, i fatti hanno nomi, cognomi, indirizzi, documenti, non stiamo parlando qui di oscure trame massoniche condotte da ridicoli personaggi incappucciati,o dei templari del new world order, questa è la rappresentazione che ne danno i media per ridicolizzare il tutto, ebbene dicevo, fino a quando qualcuno non mi dimostrerà coi fatti che le cose non sono andate e non stanno andando così, io non ci sto a farmi dare del complottista, oggi si sta combattendo la più dura battaglia dell' umanità tra il capitale ed i popoli di tutte le nazioni, chi non se ne rende conto e continua a preoccuparsi di spread, debito pubblico e di attrarre capitali stranieri in Italia è complice....e adesso insultatemi pure, i commenti non sono moderati e sono liberi a tutti.

Lo stupore di Alesina-Giavazzi e la favola dell’austerità espansiva

Sulle pagine del Corriere della Sera, Alberto Alesina e Francesco Giavazzi hanno criticato il Financial Times per un articolo nel quale Monti viene giudicato non adatto a guidare l’Italia in quanto promotore delle politiche di austerità. Lo stesso Monti ha replicato a queste accuse e il Financial Times ha pubblicato un nuovo articolo che offre un punto di vista parzialmente diverso dal precedente. Ma nel frattempo, nel loro commento sul Corriere, Alesina e Giavazzi affermano con stupore che in Europa, persino sulle pagine dell’autorevolissimo giornale inglese, viene prendendo piede una “sciocchezza”, una “stupidaggine” “che non ha riscontri nell’evidenza empirica”. Questa “sciocchezza” è l’idea secondo cui le politiche di austerità frenano l’economia, inasprendo la crisi.

Ma in realtà sono lo stupore e i toni di due economisti del calibro di Alesina e Giavazzi che meravigliano. I due, infatti, sanno perfettamente che vi è una estesissima produzione scientifica internazionale secondo la quale le politiche di austerità tagliano le gambe alla crescita. Queste tesi sono ospitate da riviste scientifiche autorevoli e supportate da una modellistica avanzata, oltre che avvalorate da una tanto massiccia quanto raffinata mole di analisi econometriche (cioè, appunto, di verifiche empiriche). Non solo: stanno guadagnando consensi crescenti semplicemente perché consentono di comprendere meglio ciò che si verifica nel mondo. E infatti, quegli economisti che – come Alesina e Giavazzi – hanno dato credito alla favola dell’“austerità espansiva” hanno spesso finito per prendere sviste imbarazzanti nei loro modelli previsionali.

Secondo la tesi dell’“austerità espansiva”, le politiche di taglio della spesa pubblica alimenterebbero la crescita. Il che significa assumere che i cosiddetti moltiplicatori della politica fiscale siano negativi, e cioè che una politica fiscale restrittiva (quando il prelievo fiscale eccede la spesa pubblica) determini una crescita del Pil. Per arrivare a queste conclusioni si effettuano una serie di ipotesi irrealistiche sul comportamento dei consumatori e degli imprenditori secondo le quali una riduzione della spesa pubblica genererebbe aspettative di calo della pressione fiscale e dei tassi di interesse; e ciò, a sua volta, porterebbe a una revisione dei piani di spesa delle famiglie e delle imprese tale da imprimere un incremento alla spesa per beni di consumo e investimenti produttivi. Da qui l’aumento del Pil. È sulla base di simili congetture che molti economisti e numerosi istituti di ricerca hanno effettuato previsioni di crescita anche in Paesi in cui erano in atto severe politiche di austerità. Prendendo grandi abbagli.

Ed è per questa ragione che il Fondo Monetario Internazionale – prima con l’ultimo World Economic Outlook e poi con un saggio di Olivier Blanchard and Daniel Leigh- ha ammesso la presenza (nelle sue stesse analisi, ma anche in quelle dell’Ocse e della Commissione Europea) di frequenti rilevanti sottostime dei moltiplicatori della politica fiscale e conseguentemente degli effetti depressivi dell’austerità.

Come ha mostrato, ad esempio, il dibattito statunitense sugli effetti del piano da ottocento miliardi di dollari di “stimoli fiscali” voluto da Obama nel 2009 (con l’American Recovery and Reinvestment Act) i moltiplicatori della politica fiscale sono positivi e generalmente ben maggiori di uno. Il che significa che una espansione fiscale di un miliardo di dollari genera un aumento del Pil significativamente superiore a questo importo, contribuendo ad incrementare i livelli occupazionali. E viceversa.

Tutto ciò vale a dire che i modelli previsionali che hanno sottolineato l’influenza positiva della spesa pubblica sulla domanda complessiva e di questa sulla crescita hanno compreso molto meglio la dinamica economica reale. D’altra parte, se le critiche alle politiche di austerità fossero davvero delle “stupidaggini” – come scrivono Alesina e Giavazzi – non si comprenderebbe come mai cinque premi Nobel (Kenneth Arrow, Peter Diamond, William Sharpe, Eric Maskin e Robert Solow) siano intervenuti publicamente contro l’inserimento nella Costituzione del principio del pareggio di bilancio, affermando tra l’altro che i “tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione fiscale necessari per raggiungere questo scopo possono danneggiare la ripresa”.

Tornando alle cose di casa nostra, possiamo consolarci con il fatto che una fetta consistente della accademia italiana abbia sentito più volte l’esigenza di uscire dalle aule universitarie per bacchettare la cultura dell’“austerità espansiva”. Ad esempio, chiarendo che le politiche di abbattimento del debito pubblico possono essere fortemente recessive (con l’appello contro l’abbattimento del debito pubblico e a favore della stabilizzazione del rapporto debito/Pil del 2006) e precisando che il quadro restrittivo dei vincoli di Maastricht ha accresciuto la divergenza tra i paesi dell’Unione, mettendo a rischio la tenuta dell’area euro, e complessivamente frena l’economia Europea (con la Lettera degli economisti del 2010).

Purtroppo, però, la politica italiana di questi ultimi anni ha preferito dare ragione al duo Alesina-Giavazzi. Vedremo se sarà ancora così dopo le prossime elezioni

Riccardo Realfonzo - Il Fatto quotidiano - 23/01/2013

Alberto Bagnai - "Il tramonto dell' euro"

E DOPO CHE SI FA ?

Proviamo allora a unire i puntini.

Questa crisi richiede un deciso cambio di paradigma, che è fuori dalla portata di chi si ostina a difendere l’esistente, per difetto etico (collusione col potere, incapacità di ammettere un errore), o politico (incapacità di immaginare un cambio di rotta senza sopportare enormi costi in termini elettorali). Il nuovo paradigma, evidentemente, deve muovere dal superamento degli errori del vecchio, e da una percezione chiara, e articolata per priorità, dei problemi che abbiamo di fronte. Problemi, giova ricordarlo, che quando non sono stati creati, non sono stati nemmeno risolti dall’entrata nell’euro. Problemi, va anche detto, che non sono tutti alla nostra portata, né come singoli, né come collettività nazionale. Tuttavia se prima non si acquisisce una consapevolezza, è impossibile proporre un’azione politica tale da coinvolgere altri soggetti (siano essi il vicino di casa, o altre nazioni europee). L’agenda di quello che si può fare parte anche da una visione costruttiva, e non scaltramente distruttiva, di quello che non si può fare, o non da soli, o non adesso.

Il quadro sopra delineato chiarisce che l’uscita dall’euro, di per sé, non risolverebbe tutti i problemi. Ma questo nessuno potrebbe pensarlo, nessuno l’ha mai né creduto né detto né in Italia né altrove. Le analisi dei possibili percorsi di uscita dall’euro abbondano e sono facilmente consultabili su Internet. Da inventare c’è veramente poco, e nessuna fra le analisi proposte, che esamineremo in dettaglio, considera l’uscita dall’euro come risolutiva. Chi sostiene il contrario è disinformato o in cattiva fede.

Se abbiamo unito bene i puntini, l’agenda mi sembra sia evidente: bisogna smontare pezzo per pezzo le istituzioni partorite dai paradigmi fallimentari che hanno messo in crisi la nostra economia e soprattutto la nostra democrazia, seguendo quattro linee guida:

1) Uscire dall’euro, come affermazione di sovranità e di democrazia, riprendendo il controllo della politica valutaria.

2) Ristabilire il principio che la Banca centrale è uno strumento del potere esecutivo, e non un potere indipendente all’interno dello Stato.

3) Riprendere il pieno controllo della politica fiscale, non più costretta ad agire in funzione prociclica (cioè a rispondere alle crisi con tagli).

4) Adottare, nella misura consentita dagli atteggiamenti dei partner commerciali, e propugnare nelle sedi istituzionali, una politica di scambi con l’estero basata sul principio che squilibri persistenti della bilancia dei pagamenti, quale ne sia il segno, cioè siano essi surplus o deficit, devono essere simmetricamente combattuti, secondo il principio che abbiamo definito dell’External Compact.

Queste quattro linee guida hanno una serie d’implicazioni. Precisiamo subito le più importanti.

Riprendere il controllo della politica valutaria significa, in primo luogo, lasciare che il tasso di cambio nominale torni a un valore più allineato con i fondamentali dell’economia. Per l’Italia, oggi, ciò implica una svalutazione non catastrofica, di un ordine di grandezza verosimilmente inferiore a quello sperimentato dalla lira dopo la crisi del 1992, o dall’euro nei primi due anni della sua introduzione. In nessuno di questi due precedenti storici l’Italia è stata devastata dall’iperinflazione. Discuteremo fra breve, razionalmente, quale sarebbe l’impatto di questo provvedimento sul nostro tenore di vita. Ma riprendere il controllo della politica valutaria significa anche rientrare in possesso di uno strumento che consenta di difendersi da shock esterni, siano essi determinati da crisi economiche, siano essi il risultato di politiche deliberate di aggressione commerciale (nelle pagine precedenti abbiamo visto esempi dell’uno e dell’altro caso).

Riprendere il controllo della politica monetaria significa:

1) Rifiutare il dogma dell’indipendenza della Banca centrale, e quindi l’art. 104 del Trattato di Maastricht, il quale al primo comma recita:
È vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della BCE o da parte delle Banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate “Banche centrali nazionali”), a istituzioni o organi della Comunità, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l'acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della BCE o delle Banche centrali nazionali.

Se ciò comporti un’uscita dall’Unione, o solo una sospensione dell’applicazione del Trattato, è materia controversa, la cui soluzione dipende comunque dall’atteggiamento delle controparti europee (ne parleremo più avanti). Certo, alla luce di quanto abbiamo detto finora, l’Italia, se intende difendere i valori fondanti della propria Costituzione, non può più permettersi di aderire a un progetto d’integrazione continentale fondato sul principio antidemocratico della costituzione di un “quarto potere” monetario indipendente. L’insofferenza crescente nelle sedi internazionali verso questo principio e verso l’ideologia ad esso sottostante potrebbero consigliare atteggiamenti interlocutori alle controparti europee.

2) Rivedere la riforma bancaria del 1994, ripensando il concetto di banca “universale” o “mista”, di derivazione tedesca, da essa introdotto, e ristabilendo la separazione delle funzioni fra banca commerciale e banca d’affari, sancita in Italia dalla legge bancaria del 1936. Quest’ultima si ispirava al Glass-Steagall Act del 1933, che aveva riformato il sistema bancario statunitense smantellando i meccanismi che avevano fomentato la speculazione borsistica prima della crisi del 1929. Oggi numerosi commentatori (ad esempio, Stiglitz, 2012) attribuiscono all’abrogazione del Glass-Stegall Act una responsabilità diretta nella crisi finanziaria statunitense, e nei paesi anglosassoni è animato il dibattito sul cosiddetto ring fencing (separazione delle funzioni)[1].

3) Reintrodurre il “vincolo di portafoglio”, cioè l’obbligo per le banche di acquistare titoli di Stato fino a una certa quota del proprio attivo. Questa norma, introdotta nel 1973, aveva lo scopo di contenere il costo del debito pubblico, favorendone il collocamento. Essa venne abrogata nel 1983, “anche grazie all’incessante pressione di Mario Monti” (Zingales, 2012). Andreatta (1991) ricorda che il progetto complessivo di “divorzio” prevedeva la “costituzione di un consorzio di collocamento tra banche commerciali”, ma che “i tempi non erano maturi per affrontare questi aspetti e la Banca d’Italia preferì procedere solo sul nuovo regolamento della sua presenza nelle aste”. Prevalse insomma la “linea Monti”, che, come sempre, aveva motivazioni ideali “alte” (favorire l’efficienza allocativa del mercato), e conseguenze politiche più spicciole (orientare il conflitto distributivo). Vedremo che la reintroduzione di un simile vincolo viene data per scontata da tutte le proposte più sensate di smantellamento dell’euro, sia che provengano da economisti di sinistra come Sapir (2011b), sia da economisti espressione della comunità finanziaria come Bootle (2012).

Riprendere il controllo della politica fiscale significa evidentemente ripudiare gli obiettivi di pareggio di bilancio e di rientro coattivo del debito verso soglie prive di particolare valore economico, come quelle stabilite dal Fiscal Compact. Ciò posto, la politica fiscale dovrebbe:

1) Nel breve periodo, stimolare l’economia attraverso una politica di piccole opere volte:

a. alla riqualificazione del patrimonio pubblico (edilizia scolastica, patrimonio artistico e archeologico, ecc.);

b. alla messa in sicurezza del territorio (viabilità locale, monitoraggio e gestione del rischio idrogeologico, ecc.);

c. all’integrazione e riqualificazione degli organici della pubblica amministrazione, stabilizzando le posizioni precarie, normalizzando i percorsi di carriera e le procedure di reclutamento.
Queste misure devono avere come obiettivo complementare quello di rilanciare l’occupazione, riportando rapidamente il tasso di disoccupazione sotto al 6%, e riattivando il tessuto economico del paese, tramite la valorizzazione del tessuto delle piccole e medie imprese.

2) Nel medio-lungo periodo, finanziare e gestire misure che favoriscano la crescita sostenibile e la competitività del paese, da orientare secondo i seguenti assi prioritari:

a. Definire le linee di un piano energetico nazionale che affronti il tema del contenimento degli sprechi e dell’incentivazione delle energie rinnovabili, adeguando il paese alle best practices europee, con l’obiettivo minimo di rispettare l’obiettivo definito dalla strategia europea 20-20-20 (Parlamento Europeo, 2008), rispetto alla quale l’Italia si trova in ritardo (Deutsche Bank, 2012), e l’obiettivo strategico di ridurre la dipendenza da fonti fossili, che vincola la crescita del paese.

b. Adeguare, anche in questa ottica, gli investimenti in istruzione e ricerca al livello dei partner europei, portando la spesa in ricerca e sviluppo dall’1% al 2% del Pil, riaffermando il ruolo chiave dello Stato nell’incentivazione e nella tutela della ricerca fondamentale.

c. Recuperare il digital divide (ritardo nell’uso delle tecnologie digitali) che separa l’Italia dagli altri paesi industrializzati e ne penalizza la crescita, adeguando il paese ai requisiti dell’Agenda Digitale Europea (Unione Europea, 2012c; Messora, 2011).

d. Adeguare la dotazione infrastrutturale del paese, con particolare riguardo alle reti di trasporto locale.

e. Promuovere una riforma strutturale della Pubblica Amministrazione volta all’abbattimento dei costi della politica e della corruzione, incidendo in particolare sulla disciplina delle società a partecipazione pubblica (disciplina delle nomine, ripristino dei controlli di legittimità sugli atti, ecc.), e su quella delle autonomie locali attuata con la riforma del Titolo V della Costituzione (Barra Caracciolo, 2011).

Certo, immagino le perplessità: queste sono solo affermazioni di principio, ma poi, le difficoltà pratiche, le ritorsioni degli altri paesi, l’Italia è piccola, la liretta, il mutuo di casa, l’iperinflazione... Giusto! Si tratta, in effetti, di affermazioni di principio, che devono essere precisate nel contenuto (ma questo è un compito politico, e questo non è un programma elettorale), e, soprattutto, che lasciano indietro due ordini di problemi: come gestire in pratica l’uscita (cosa succede al mutuo, ecc.), e come guidare il paese nella fase di transizione (come contenere l’inflazione, come comportarsi rispetto ai partner europei, ecc.). Ne parleremo, promesso. Prima, però, sgombriamo il campo da equivoci pericolosi.

Estratto dal libro "Il tramonto dell'euro", p. 277


lunedì 21 gennaio 2013

Gennaro Zezza - La cessione programmata delle sovranità nazionali



La svendita programmata delle sovranità nazionali è iniziata molto tempo fa. Già nei primi anni '90 gli economisti sapevano che la creazione di una moneta comune slegata da una politica fiscale complementare e senza una banca centrale che potesse sopperire all'impossibilità di giocare con i tassi di cambio, innesacando una svalutazione competitiva, avrebbe condotto a una crisi la cui unica soluzione contemplava la cessione totale delle prerogative dei popoli, ovvero la loro autonomia e indipendenza rispetto alle politiche macroeconomiche.

Un progetto che avrebbe consentito alla Germania di avvantaggiarsi sul piano delle esportazioni verso i paesi meno forti, ai quali non sarebbe rimasta che la diminuzione dei salari per riequilibrare il deficit. Ma anche e soprattutto un progetto che, attraverso la crisi, doveva risolversi con l'imposizione di una unione europea totale sul piano politico, costringendo i cittadini privati di ogni altra possibilità residua a rinunciare all'atto costitutivo più importante che uno Stato conosca: le loro costituzioni nazionali. Quando uno Stato rinuncia alla propria sovranità sulle politiche monetarie, diventa automaticamente una regione, nella migliore delle ipotesi, o peggio: una colonia, con la sola autonomia decisionale residua, rispetto al potere centrale, di stabilire con quale frequenza tagliare le aiuole.

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Alberto Bagnai - Frenkel goes to Slovenia

Il prof. Alberto bagnai, nell' ultimo post sul blog "goofynomics" risponde ad un lettore che chiede lumi sulla Slovenia, anche li si è verificato il ciclo di Frenkel, del quale ha ampiamente parlato nel suo blog, che ha mandato all' aria metà delle economie europee, continuano a raccontarci che il problema è il debito pubblico, causato da "castacriccacorruzzzzione", tutto questo per fare dell' Italia la propaggine meridionale della " virtuosa Tedeschia" e svendere tutto il patrimonio pubblico e privato, ai soliti noti, per rientrare del debito. Ci dovrebbero dimostrare però che "castacriccacorruzzzzzzzzzzzione" esistono anche in Spagna, Irlanda, e Portogallo, nonchè nell' ultima arrivata....la Slovenia.

Qui un estratto, vi rimandiamo, per la lettura dell' interessantissimo post, al link a piè di pagina.

"lo so, mi dà l'urto di nervi, e non dovrebbe, ma che ci devo fare? Mi viene da rispondere: e che te ne frega? Eppure lo so che sono io a essere sbagliato: queste richieste sono manifestazioni di rispetto, di fiducia, Però, pensate un po' a questa scena: esami di politica economica, chiami il candidato: "Francesco", lui entra, si siede, e ti chiede: "Professore, che ne pensa dell'ottimo paretiano?". Ma come che ne penso? Che ne penso io? Io è un anno e dispari che mi faccio un culo come una scimmia per insegnarvi cosa ne dovete pensare voi! Siete voi a dovermi dire cosa ne pensate, anche perché qui da un anno - ma in realtà da trenta - stiamo parlando sempre e solo della stessa stessissima identica identicissima cosa: di paesi mandati per stracci dall'afflusso di capitali esteri. E allora cosa ne devo pensare? Che significa che ne pensa? Significa che volete sapere se "questa volta è diverso"? No, non è diverso, perché è sempre così e sarà sempre così finché non cambieranno le regole del gioco in un modo del quale abbiamo altresì parlato milioni di miliardi di trilioni di fantastiliardi di volte, cazzo! Leggete il blog. Non è diverso perché non può essere diverso. Forse una crisi finanziaria ogni venti sarà stata provocata dal comportamento irresponsabile dello Stato. Le altre diciannove sono fallimenti del mercato privato dei capitali. Sarà sempre così: i paesi periferici saranno sempre schiacciati, maciullati dall'invasione di capitali esteri destinati a impieghi privati. Sarà sempre così: il settore pubblico c'entra poco o nulla. Sarà sempre così: la crisi si manifesta come un sudden stop, un arresto improvviso dei finanziamenti esteri. Sarà sempre così: l'afflusso dei finanziamenti esteri è facilitato dal cambio fisso. E sarà sempre così finché non verranno disciplinati i movimenti internazionali di capitali, finché non verrà ripristinata la separazione fra banche commerciali e banche di investimento, finché non verrano poste soglie di attenzione sul debito privato, anziché su quello pubblico, finché non si passerà da politiche di sviluppo di tipo mercantilista, che necessariamente portano i paesi satellite a indebitarsi con il centro, a politiche di sviluppo più equilibrate, fondate su una ordinata crescita della domanda interna, e nelle quali lo Stato riprenda il proprio ruolo di intermediazione finanziaria. Non me l'avete mai sentito dire, vero? Lo so. Ho cercato di tenervelo nascosto..."

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Catastroika



Oggi "Catastroika" uno straordinario documento sull' effetto delle privatizzazioni e sulla distruzione degli stati nazione, così come si sono faticosamente formati, dalla rivoluzione francese ad oggi. Le privatizzazioni non aumentano l' efficienza, le privatizzazioni non diminuiscono i prezzi di beni e servizi, esse trasferiscono solo ricchezza dal bene pubblico (noi tutti, la collettività) a quello privato, che in quanto tale è libero di fare ciò che vuole e al riparo dal processo elettorale. A volte, poi, come in Unione sovietica, esse diventano il mezzo per depredare e saccheggiare una popolazione intera. Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e, purtroppo Italia, si sono avviate su questa strada, sotto il ricatto e, in alcuni casi il commissariamento della troika.
Ricordatevi di attivare i sottotitoli di Youtube.

domenica 20 gennaio 2013

Nigel Farage - A Bruxelles mi sembra di essere tra adepti di Scientology

Grecia - Uscire dall' euro e dichiarare il default

Emiliano Brancaccio - Quanto fumo sulla Tobin Tax

Quando Keynes (1936) e Tobin (1972) proposero, rispettivamente, un’imposta sulle transazioni finanziarie e un’imposta sulle transazioni valutarie, il loro scopo prioritario era quello di fissare un’aliquota sufficientemente elevata in modo da scoraggiare le transazioni. Il proposito principale, infatti, non era quello di ricavare gettito dagli scambi di titoli o di valuta. Al contrario, l’intento era di scoraggiare quegli scambi. In particolare, Keynes mirava a render costose le transazioni al fine di ridimensionare il ruolo della Borsa. Tobin puntava a rendere onerosi i movimenti internazionali di capitale in modo da ripristinare almeno in parte la sovranità dei singoli paesi sulla politica monetaria.

L’imposta di cui si parla oggi, invece, viene concepita con un’aliquota bassa, che cioè non scoraggi le transazioni. Il motivo è semplice: si vuole ottenere gettito fiscale dagli scambi, per cui questi non devono essere disincentivati. Apparentemente, tirare fuori un po’ di soldi dagli operatori finanziari sembra una mossa giusta e radicale, degna della tassa talvolta ribattezzata “Robin Hood”. Ma la verità è che, in tal modo, la vecchia e oggettivamente interessante proposta dei due maestri del pensiero economico viene ridotta alla stregua di un piccolo pedaggio: si dice infatti agli operatori finanziari che essi sono assolutamente liberi di scorazzare sulle autostrade dei mercati internazionali, purché ad ogni passaggio paghino un modestissimo obolo…

Naturalmente, l’adozione di una imposta sulle transazioni finanziarie potrebbe comunque esser salutata con favore, se non altro perché magari, in seguito, lo strumento potrebbe essere riorientato sui suoi veri obiettivi originari.

E’ chiaro però che considerare questa imposta – specialmente la sua attuale versione – come una “panacea” è semplicemente ridicolo. La polemica corrente intorno alla “imposta pedaggio autostradale” è dunque in gran parte fatta di fumo, e ci distrae soltanto dai problemi urgenti che incombono sulle nostre teste.

Emiliano Brancaccio*

* estensore della proposta di legge di iniziativa popolare per l’istituzione di una imposta sulle transazioni valutarie, avanzata dalla associazione ATTAC e depositata in Parlamento nel 2002 con 180.000 firme di sostegno.

http://www.emilianobrancaccio.it/

venerdì 18 gennaio 2013

EmilianoBrancaccio - Ancora le privatizzazioni ?



Ancora un video datato, ma gli argomenti sono più che mai attuali, le privatizzazioni, dice Cazzullo, ce le chiede l' Europa...chi è l' Europa oggi ? Germania e paesi del nord, chi è che oggi in Europa ha i soldi per venire in Italia a far shopping di intere aziende a prezzi da discount ? Lascio a voi la risposta...è quindi ovvio che ce lo chieda l' Europa, non trovate ? Per quanto riguarda la seconda parte...che dire ? Le prossime elezioni sono una farsa ridicola che partorirà tre possibili scenari: Monocolore centrosinistra, alleanza centrosinistra - centro, alleanza cetrodestra - centro. In tutti i tre i casi la linea politica è già dettata, con Monti, o perlomeno la sua "agenda" al centro, quindi....

Emiliano Brancaccio - una campagna elettorale tarata sui ricchi



Naturalmente la buona De Gregorio, ci deve piazzare il suo intervento contro castacriccacorrzione, non c'è niente da fare, è più forte di loro, L' Italia pre euro, non ce l' aveva la corruzzzzione ? In Cina non ce l' hanno la corruzzzzzzione ? Basta !! Ci avete frantumato le palle (scusate il francesismo) Quand' è che a sinistra si aprirà un dibattito serio su cosa sta succedendo in Europa ?

Alberto Bagnai - Piccolo manuale di logica eurista ad uso della campagna elettorale

(a cura del fieren alleaten Galeazzo Musolesi)

La logica eurista, utilizzata per dimostrare l'ineluttabilità del "più Europa", si basa sull'applicazione creativa del paradosso.Segue un riassunto dei caposaldi della logica eurista:

1) L'euro sarà salvato dalla Bce quando deciderà di comportarsi come la Fed (?) acquistando titoli del debito pubblico... cioè facendo quello che abbiamo impedito di fare alla Banca d'Italia per salvare l'Italia!

2) L'euro sarà salvato quando i paesi del Nord accetteranno di rendere "federale" il bilancio europeo, consentendo trasferimenti fiscali automatici dal Nord al Sud, mentre l'Italia sarà salvata dal federalismo, cioè dal mantenere al Nord le tasse raccolte al Nord!

3) L'Europa sarà salvata dalla deflazione interna, cioè dal taglio dei salari dei paesi del Sud brutti sporchi e cattivi, mentre l'Italia è stata salvata opponendosi alle gabbie salariali, cioè alla differenziazione dei salari fra Nord e Sud!

Insomma: posto che né l'Europa né l'Italia sono Aree Valutarie Ottimali (cioè zone che possano credibilmente sostenere un'unica valuta), è amaramente divertente vedere come i politici continuamente propongano in due contesti macroeconomicamente identici soluzioni di fatto opposte.

Ma la vera chicca è questa:

4) L'Europa sarà salvata perché o arriverà l'alba della Focialdemocrazia europea, oppure noi (chi?) minacceremo la Merkel e le diremo, col ditino puntato "cara Angela, o ci fai l'elemosina o noi non andiamo avanti", e la minacceremo perché siamo abbastanza grandi da fare una minaccia credibile... però non siamo abbastanza grandi da uscire dall'euro.

Io non ho capito: ma siamo grandi, o siamo piccoli? Voi che ne dite?

http://www.goofynomics.blogspot.it

giovedì 17 gennaio 2013

LA GERMANIA TELEFONO' A NAPOLITANO, E FU SUBITO "GOLPE"

La farsa delle elezioni

Claudio Martini - Stati Uniti d'Europa? Un progetto pericoloso e reazionario

Coloro che parlano di stato federale europeo in genere svalutano l'argomento del Demos. Quando si oppone loro il semplice fatto che non esiste qualcosa di paragonabile ad un popolo europeo, essi spesso ribattono indicando esempi di felice convivenza e cooperazione tra popoli diversi chiusi negli stessi confini. Tra questi c'è la Svizzera, ma si potrebbero citare tanti altri paesi, incluso quello che sembra il vero modello degli europeisti, ossia gli Stati Uniti d'America. In effetti l'omogeneità etnica-culturale sembra essere l'eccezione, e non la regola, dello scenario delle formazioni statuali odierne. Sono davvero pochi gli stati, come le Coree o il Giappone, dove lo stesso gruppo etnico rappresenta più del 95% del totale della popolazione. Stati che appaiono monolitici ai nostri occhi superificiali, come la Cina, la Russia o l'Iran, sono in realtà complessi ordinamenti federali caratterizzati da un'ampia varietà etnica e linguistica. Per non parlare di veri universi multiculturali come l'India o la maggior parte degli stati africani.
Eppure questo argomento ha qualcosa che non va. Quando noi constatiamo l'assenza di un popolo europeo non pretendiamo certo che sia condizione per avere una federazione europea che tutti gli abitanti del continente europeo appartengano allo stesso popolo. Sulla scorta degli esempi sopra fatti, basterebbe individuare un'etnia dominante.

Prendiamo la Svizzera:

Tralasciando il dettaglio che la genesi storica della Confederazione risale alla lotta separatista dei cantoni sovrani contro il dominio asburgico, fatto che forse dovrebbe sconsigliare agli europeisti dall'eleggerla a paradigma, notiamo come nella multiculturale Svizzera due terzi dei cittadini parlino tedesco. Certo,dopo secoli di comune convivenza e un sistema educativo all'avanguardia il multilinguismo è assai diffuso. Ciò nonostante i lingua-madre francesi non superano un quinto della popolazione, e gli italiani un decimo.
Negli U.S.A. gli W.A.S.P. sono tutt'oggi la maggioranza assoluta dei cittadini della federazione, la cultura e la lingua (le lingue) induiste dominano l'India, russi etnici e cinesi Han sono rispettivamente i tre quarti e i quattro quinti della popolazione dei loro paesi. E così via. In ogni grande unione multiculturale e multilinguistica è sempre riconoscibile un'etnia dominante che regge i fili di quell'unione. Esiste qualcosa del genere in territorio europeo?
Ovviamente gli unici candidati a svolgere il ruolo di dominanti sono i tedeschi. Ma i tedeschi, anche in un'accezione piuttosto estesa del termine, non raggiungono il 20% della popolazione UE (sono poco più di 90 milioni su 500). Se si escludono soluzioni hitleriane, possiamo concludere che ancora per molto tempo (decenni, se non secoli) il continente europeo, fedele alla sua tradizione, rimarrà privo di un'etnia dominante, e qualsiasi progetto di federazione europea difetterà di quella che l'esperienza ci indica come una condizione imprescindibile per raggiungere l'agognata (ma da chi?) unione sovranazionale.
Ma si potrebbe obiettare che l'esperienza ci permette di qualificare un fenomeno come improbabile, non già come impossibile. Dopotutto c'è sempre una prima volta; e gli europeisti hanno buon gioco ad affermare che gli Stati Uniti d'Europa potrebbero costituire il primo esempio di unione tra popoli diversi posti in condizione di (relativa) parità.Tuttavia uno sguardo all'atlante, nonché un minimo di memoria storica, ci dice che questo genere di unioni è già stato sperimentato. E' il caso, per esempio:

della Bosnia-Herzegovina, un'entità che si suddivide in una federazione croato-musulmana e in una repubblica Srpska totalmente serba.

del Libano, dove ci si divide lungo linee confessionali, e dove la fazione più numerosa (gli sciiti) non raggiunge il 40% della popolazione.

dell'Afghanistan, dove ancora una volta l'etnia più consistente, quella Pashtun, è ben lontana dal rappresentare la maggioranza assoluta.

Infine della Nigeria, dove la grandissima varietà di etnie, tribù, lingue e dialetti compone un mosaico eterogeneo attraversato da una linea di faglia religiosa: metà dei nigeriani è musulmano, metà cristiano.

Non si tratta di esempi di successo. Per completezza si può aggiungere che si tratta dei teatri di alcune delle più spaventose guerre civili delle ultime generazioni.
Badate, qui non stiamo giocando a etno-risiko. La presenza di un popolo e di una lingua comune sono un elemento decisivo non solo dal punto di vista della democraticità di un sistema (pensiamo all'esigenza di disporre di un'opinione pubblica comune e di media condivisi); costituiscono la condizione per la sostenibilità politica di un meccanismo di trasferimenti fiscali e finanziari indispensabile per tenere insieme grandi formazioni statuali. Senza un comune sentire popolare non c'è solidarietà, e senza solidarietà i meccanismi di trasferimento diventano forieri di nuove e più profonde lacerazioni. Ecco una delle analisi più lucide che mi sia capitato di leggere sulle conseguenze dell'operare di quei meccanismi in un contesto privo di solidarietà. Se poi volessimo dare un'occhiata fuori d'Europa, potremmo leggere un bell'articolo proprio sulla situazione nigeriana.
E' facile sorridere dell'argomento del Demos, o cavarsela con una battuta; ma fondare un progetto politico trascurando un simile elemento significa costruire sulle sabbie mobili. Non esattamente un atteggiamento responsabile.
Se poi i nostri interlocutori volessero ignorare del tutto l'importanza di una lingua e di un'appartenenza comune, svalutando completamente il peso dell'elemento entico-culturale, allora bisognerebbe chiedere loro perché non costruire un'unione politica tra i paesi del mediterraneo. Perché non ci federiamo con l'Albania, il Marocco, la Turchia, l'Egitto? Se davvero l'elemento culturale e linguistico non vale niente, non ci dovrebbero essere difficoltà nella realizzazione di un simile progetto. E dato che con internet e con la globalizzazione gli spazi si annullano, presto potremmo allargare la federazione al Turkmenistan, al Madagascar, allo Sri Lanka.
Paradossale? Non tanto, a meno che non si ammetta la natura veramente paradossale di una proposta politica che trascuri il Demos. Forse gli europeisti farebbero bene ad ammettere che anche alla base della loro proposta c'è un elemento identitario, ossia la comune appartenenza all'Europa cristiana (e bianca). O comunque "occidentale", visto che nessuno si è mai sognato di fare entrare la Giordania, ma tanti hanno proposto l'ingresso di Israele. Ciò è molto coerente con l'affermazione sovente ripetuta che gli europei dovrebbero unirsi "per far fronte", "per tenere testa" alle potenze emergenti. Non proprio valori progressisti, direi; anzi uno squallido (e un tantino reazionario) nazionalismo europeo, creato ad arte dalle classi dirigenti per imporre il proprio volere alle masse.

In conclusione:

a) non esiste un esempio di processo federativo di successo che non sia caratterizzato dalla presenza di un'etnia dominante;

b) esistono vari esempi di stati falliti le cui disgrazie sono dovute all'assenza di un'etnia dominante;

c) gli europeisti, se vogliono avanzare delle propose politicamente responsabili non possono limitarsi a ignorare questi argomenti;

d) spesso la svalutazione di questi argomenti da parte degli europeisti rivela un retropensiero identitario che non hanno il coraggio di confessare.

http://il-main-stream.blogspot.it

Stanno scippando l' Italia

mercoledì 16 gennaio 2013

Paolo Savona - E' necessario un piano B

.ALBERTO BAGNAI CONTRO TUTTI



Un video ormai datato, rivela l' estrema lucidità nell' analizzare cause ed effetti della crisi dell' euro da parte del Prof Bagnai, soprattutto se contrapposta al "sogno" (o incubo ?)dell' On. Boccia e alla solita banalità (criccacastacorruzione) espressa dalla giornalista Myrta Merlino.

Nazisti del rigore, Barnard: ho un sogno, bruciarli vivi

Al processo contro la gerarchia nazista tenutosi a Norimberga dal 1945 al ’46, il procuratore generale Benjamin Ferencz sancì che «la guerra d’aggressione contro una nazione sovrana sarà da ora considerato il crimine supremo». Giratevi a Est, per favore. A due passi da noi c’è l’olocausto di un popolo distrutto da una guerra d’aggressione. E anche questa volta l’aggressore principale è tedesco. Le notizia che arrivano dalla Grecia sono di quelle che uno non ci può credere. Li hanno ricacciati al medioevo. I greci stanno disboscando i parchi, i campi e le colline per scaldarsi. Buttano nel fuoco i libri di casa, i mobili, qualsiasi cosa bruci, con vernici e tutto. Ad Atene le malattie polmonari sono aumentate del 300% a causa dei fumi della legna arsa negli appartamenti. Ma vi rendete conto? Bruciano legna in casa, nel condominio, per non morire di freddo.
La Grecia dagli anni ’70 alla fine degli anni ’90 cresceva, aveva un reddito pro capite solo di poco inferiore al resto d’Europa, infatti importava una montagna di prodotti soprattutto dalla Germania. Usava i deficit di bilancio, come l’Italia, come il Giappone, come la Francia. Poi è arrivata l’Eurozona e, a ruota, la catastrofe finanziaria globale. Ma peggio: arrivano i terroristi del debito pubblico, quelli che non ti dicono che il problema non è il debito troppo alto, ma un debito alto denominato in una moneta non tua, che devi prendere in prestito dalle banche internazionali, cioè l’euro. Quella è la catastrofe, ma non te lo dicono. E arrivano le ricette dei criminali tecnocrati europei per la Grecia. Arriva anche lì il golpe finanziario che installa il Monti greco (Papademos) eccetera, eccetera.
La tecnocrazia e gli speculatori internazionali hanno aggredito la Grecia per letteralmente spolparla viva. E’ una guerra d’aggressione, con i morti, sì, coi morti. Centinaia di morti per mancanza di farmaci negli ospedali, i suicidi, e poi quei tre bambini arsi vivi a dicembre proprio perché si bruciava legna in casa per il freddo. Poi tutto il resto dell’orripilante corredo che viene con l’estrema povertà. I criminali non hanno limiti nella perfidia. Di fronte a questo olocausto, la Troika di Commissione Ue, Bce e Fondo Monetario ha preteso ieri dal governo greco un ulteriore aumento delle tasse e soprattutto dell’elettricità. La spirale verso l’inferno della Grecia non ha sosta, i numeri non mentono: gli stessi criminali, mentre contemplano ottusi lo sfacelo delle loro ricette, ammettono che la Grecia il prossimo anno crescerà in negativo di nuovo: -4,5%. Ma…
… lui, uno dei tanti che dovrebbero essere trascinati a Norimberga domani mattina, cioè Mr. Daniel Loeb, gestore dell’hedge fund americano “Third Point”, ha fatto una barca di centinaia di milioni di euro sfruttando la disperazione delle finanza greche, e la conseguente devastazione delle famiglie greche. Quando la Grecia ristrutturò il suo debito fra marzo e agosto, Mr. Loeb si comprò un bel pacchetto di titoli greci per 17 centesimi di euro per ogni euro di valore teorico. Poi ha aspettato che le successive Austerità “naziste” ridessero fiducia ai mercati alzando il valore dei titoli greci, ma straziando la gente sempre più, e Loeb a quel punto li ha rivenduti incassando una incredibile fortuna. Capite come funziona? Un bel gioco fatto su un pc a Manhattan che ti rende soldi se l’olocausto economico di un popolo va come vuoi tu, e incassi miliardi. E li incassano anche quelli che oggi comprano beni pubblici greci a prezzi da discount market, quelli che trovano manodopera greca a 400 euro al mese, quelli che… gli speculatori.
Mi chiamo Paolo Barnard, nel rispetto delle leggi e nel mio inequivocabile ripudio della violenza, io faccio un sogno, che, sottolineo, è solo un sogno: che il prossimo team della Troika che visita Atene venga preso a furore di popolo e arso vivo in uno di quegli appartamenti dove si ardono i mobili di casa per non morire di freddo. Perché lo so che le parole di Benjamin Ferencz oggi valgono come una cicca di sigaretta su un marciapiede. Norimberga non ci serve a nulla in questo olocausto.

(Paolo Barnard, “Ho un sogno, ma si badi, solo un sogno: bruciarli vivi”, dal blog di Barnard del 13 gennaio 2013).



martedì 15 gennaio 2013

Quod erat demonstrandum 17: la virtuosa Tedeschia

Riprendiamo un post dal blog - goofynomics.blogspot.com

KappaRar su Twitter mi segnala un simpatico articolo del Volkischer Beobachter salmonato, come lo chiama il nostro porter.

Da suggerire ai simpatici traditori che ce l'hanno menata con il fatto che la Germania esporta in Ciiiiiina, e anche agli espertoni dalla visione geopolitica (ma non storica) per i quali "la Germania è fuuuurba, non segherà il ramo sul quale è tagliata" (come da noi anticipato ad agosto 2011). Come se in una nazione le decisioni le prendesse un unico agente razionale! Questi devono ancora passare dalla teoria normativa a quella positiva, ma lasciamo perdere...

Comunque, per allietare la vostra lettura, fornisco qualche informazione di contorno. Nel settembre 2011 il Fmi prevedeva per la Germania una crescita all'1.3% nel 2012. Ora sappiamo che la crescita effettiva tedesca è stata la metà di quella prevista. Per la Cina prevedeva il 9%. Nell'ottobre 2012 rivedeva all'8%. Un po' di meno, certo, e non abbiamo ancora il dato definitivo, ma certo non la metà! Quali fossero le previsioni e quali i risultati da noi ve l'ho già fatto vedere.

Allora la domandina è: ma secondo voi, il risultato della Germania dipende dal fatto che la Cina (forse) è cresciuta un punto in meno del previsto (da 9 a 8), o che noi siamo cresciuti tre punti in meno del previsto (da 0.7 a -2.5, a spanna)?

Ecco: questo vorrei che capissero i traditori del nostro interesse nazionale. Il modello mercantilistico tedesco non va bene non perché è tedesco, ma perché non funziona. Questo non è nazionalismo, è razionalità.

http://www.goofynomics.blogspot.it



Monia Benini - La guerra dell' Europa



Questo contributo è di qualche mese fa, alcuni riferimenti sono stati superati dagli eventi, il che comunque non fa che confermare che le nostre preoccupazioni non erano ululati alla luna, ma erano concrete e fondate.
Questo intervento però è molto utile per comprendere meglio il vero e proprio dramma in cui è sprofondata la Grecia e come in quella culla della civiltà si sia fatto carne di porco di qualsiasi principio democratico.

Claudio Borghi - Come si esce dall' euro ?

lunedì 14 gennaio 2013

Che cosa ci aspetta ?

Lapsus prodiano - "nella vita c'è anche il suicidio"



La Germania, grazie all' euro è diventata la prima potenza d' Europa, ha accumulato un surplus che prima non era mai riuscita ad accumulare, sempre per la serie "ormai le cose ce le sbattono in faccia senza ritegno".
Ma come ? Dove sono finite tutte le balle sul teutonico biondo cugino d' oltralpe che è virtuoso, produttivo, tecnologicamente avanzato, ed è per questo che vince la sfida sui mercati contro di noi che siamo brutti, sporchi e cattivi, pigri fannulloni e corrotti...e anche un po' stronzi ?

Paolo Barnard - Perché voterete un governo solo virtuale, se non capite questo siete finiti.

Da oltre dieci anni pubblico le prove della progressiva perdita di qualsiasi sovranità politica e costituzionale degli Stati occidentali (WTO, GATS, ecc.). Oggi, nel caso dell’Eurozona, quella perdita è totale. Ciò significa che nessuno degli uomini o delle donne che oggi si azzuffano nelle liste elettorali, premier o parlamentari, vi potrà governare nei prossimi 5 anni. Essi eseguiranno solo ordini impartiti da tecnocrati europei, dai Trattati europei, e dai mercati finanziari, fine (le prove qui sotto). Fra Vendola e Monti lo spazio di manovra è non più dello 0,1%, se consideriamo le politiche nazionali che contano. Grillo ancora meno, perché il suo team è talmente scadente che neppure riuscirebbe a capire come si paga uno stipendio di un bidello, meno che meno cosa siano le Collective Action Clauses sui titoli del Tesoro o il Correcting Macroeconomic Imbalances. Inutile votare sti politici, inutile leggerne i programmi, guardare i dibattiti tv. Essi sono figure virtuali, impotenti al 99,9%, sono morti viventi.
So che questa nozione sembra una boutade di un fesso, tanto è scioccante. Ma così è. Il mio lavoro ha portato prove autorevoli con documenti e testimonianze in numero talmente ampio che è impossibile persino riassumerle qui. Voglio solo ricordare i seguenti punti:

A) La Costituzione italiana non ha più valore sovrano, essendo stata sottomessa alla legge europea fin dal 1991. (Chapter National constitutions and the Lisbon Treaty: conflicts are resolved by the EU Court, 344 TFEU - obligation of loyalty, 4.3 TEU, 24.3 TEU - In Opinion 1/91 of the European Court of Justice, the European treaties are described as 'the Constitutional Charter of a Community of Law, a new legal order for the sake of which the States have limited their sovereign rights”).

B) La legge europea, redatta unicamente dalla Commissione Europea di tecnocrati che nessuno elegge, ha supremazia su ogni legge nazionale italiana. Ne consegue che il Parlamento nazionale è esautorato nella sovranità. Il ruolo subordinato dei Parlamenti nazionali nella nuova Europa significa che “essi dovranno fare gli interessi dell’Unione prima che i propri”, come sancito dai Trattati. (Art. 8c, TEU - The European Council of 21-23 June 2007 in Brussels: Presidency Conclusions, General Observations, point 3, page 16)

C) Il governo italiano non ha più alcuna sovranità nelle politiche economiche, di bilancio e sociali. Questo significa aver perso il 99,9% del potere di un governo. Ciò accade a causa dei Trattati europei che l’Italia ha firmato e ratificato in legge nazionale, e che da oggi costringono il governo e il Parlamento alle seguenti misure:

Una spesa pubblica insignificante non oltre il 3% del PIL, che dovrà scendere allo 0,5% del PIL.

Il pareggio di bilancio va inserito nella Costituzione (sancito dal Fiscal Compact nel TITOLO III art. 3/1 a 3/2). Significa che il governo deve spendere 100 e tassarci 100, lasciando a noi cittadini e imprese esattamente 0 denaro. Unica nostra alternativa è erodere i risparmi o indebitarci con le banche. Questo è precisamente l’impoverimento automatico che oggi chiamiamo ‘la crisi’. L’Italia ha ubbidito e ha messo in Costituzione il pareggio di bilancio, ma ora sapete che non è stata affatto una scelta parlamentare per il bene del Paese, ma una costrizione esterna dettata dalla minaccia di sanzioni europee (leggi sotto).

Il governo dovrà sottomettere la legge di bilancio alla Commissione Europea prima che al Parlamento, e solo dopo l’approvazione di Bruxelles potrà interpellare i deputati.

Se il governo sgarra, potrà essere multato di miliardi di euro e scatta una procedura chiamata Preventing Macroeconomic Imbalances. Concede alla Commissione e al Consiglio Europeo poteri di intervenire sulle politiche italiane del lavoro, sulla tassazione, sullo Stato Sociale, sui servizi essenziali e sui redditi per imporre tagli e maggiori tasse. Imporre, non suggerire.

La competitività italiana sarà giudicata dai poteri europei superiori a governo e Parlamento in rapporto al contenimento degli stipendi e all’aumento della produttività. Gli stipendi pubblici devono essere tenuti sotto controllo per non danneggiare la competitività. La sostenibilità del debito nazionale viene giudicata a seconda della presunta generosità di spesa nella Sanità, Stato Sociale, e ammortizzatori sociali. Le pensioni e gli esborsi sociali devono essere riformati “allineando il sistema pensionistico alla situazione demografica nazionale, per esempio allineando l’età pensionistica con l’aspettativa di vita”.

L’Italia, Stato della zona Euro, dovrà chiedere l'approvazione alla Commissione Europea e al Consiglio Europeo prima di emettere i propri titoli di Stato. Anche qui la funzione primaria di autonomia di spesa dello Stato sovrano è cancellata (sancito dal Fiscal Compact nel TITOLO III art. 6).

Se l’Italia dovrà chiedere un aiuto finanziario al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) sarà obbligata a sottoscrivere, in accordo con la Commissione Europea, col FMI e con la BCE, un Memorandum dove si vincola a obbedire a tutto ciò che il MES e FMI gli imporranno, a tutti i Trattati, a tutte le condizioni del prestito, persino a critiche e suggerimenti dei sopraccitati. Il Parlamento italiano non ha alcuna voce in capitolo neppure qui.

(Fonti: The Stability and Growth Pact, The European Semester, Preventing Macroeconomic Imbalances, The Europact, The Fiscal Compact, The European Stability Mechanism(MES)).

Infine, il governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, ha il potere sancito dallo statuto BCE di ricattare qualsiasi banca italiana attraverso i poteri della Struttura di Controllo del Rischio (Risk Contol Framework), e anche qui il governo italiano è impotente. E, come sapete, l’Italia, che ha perduto con l’Eurozona la sua moneta sovrana, dipende dai mercati di capitali internazionali per ricevere ogni centesimo di euro che spende per la vita dello Stato, per cui è da essi ricattabile al 100%, cioè il governo, il Parlamento, i cittadini, la Costituzione sono alla mercé dei mercati, interamente.

Bene. Ho finito. Voterete dei morti, impotenti, inutili, senza alcun reale potere. Dobbiamo urlare alla politica che noi sappiamo tutto questo, e che loro devono promettere all’elettorato di portarci fuori da questo orrore europeo con un voto di orgoglio e di salvezza nazionale.

“E il poveretto non se n’era accorto, andava combattendo ma era morto”.

http://paolobarnard.info

Bersani al Financial Times - più a destra di Monti

La vera campagna elettorale, quella per accreditarsi dove si prendono decisioni, la si fa sul Financial Times. Che ha dedicato molto spazio alle elezioni italiane. Segnaliamo questa intervista del Financial Times a Pierluigi Bersani in versione maresciallo Pètain. Quello dei giorni che precedettero la formazione della repubblica collaborazionista di Vichy.
Cosa dice di grave Bersani? La prima è che è favorevole ad un irrigidimento del fiscal compact, il patto sul bilancio che impegna a tagli di spesa pubblica di decine di miliardi l'anno per un ventennio. La seconda è che impegna l'Italia ad ulteriori politiche di austerità. Fin qui siamo a Monti forse con qualche parola più cruda sull'irrigidimento del fiscal compact. Ma dove Bersani, nel tentativo di accreditarsi in Europa, riesce a superare a destra Mario Monti è sulla questione del commissario unico europeo.
Si tratta di una figura, già oggetto di trattativa nei precedenti round europei, che avrebbe potere di veto sulla stesura dei singoli bilanci nazionali. Per cui se un paese decidesse di finanziare scuola, sanità, servizi sociali, in autonomia nazionale, questa figura avrebbe potere di bloccare una decisione sovrana.
Il più convinto artefice di questa proposta, che ha incontrato il favore di Barroso, è il superministro tedesco dell'economia Schauble. Monti, diplomaticamente, nelle settimane scorse aveva fatto scivolar via questa proposta (assieme ad altri paesi). Monti è un uomo di destra, convinto di svendere il paese, ma sa che la cessione di sovranità va sempre saputa trattare con accortezza.
E cosa ti fa Bersani? Per accreditarsi in Europa si dice pronto ad accettare la proposta Schauble. Al Financial Times Bersani si dice pronto ad accettare la cessione di sovranità. Ovviamente si bada bene dal dirlo all'elettorato italiano. Qui è da considerare una cosa. Esistono due tipi di cessione di sovranità: una, quella con contropartite, fa parte di un processo di integrazione continentale. L'altra, senza contropartite, spiace dirlo ma si chiama resa ad una potenza straniera. Nessun dubbio che Bersani voglia incarnare i panni del nuovo Pétain che, a suo tempo, decise che la resa praticamente senza contropartite alla Germania fosse l'unica strada razionalmente praticabile.

http://www.megachip.info

sabato 12 gennaio 2013

Jeff Neilson - Per salvare l' Islanda è bastato fermare i criminali dell' austerità

Per circa tre anni, i nostri governi, la cricca dei banchieri e i media industriali ci hanno garantito che loro conoscevano l’approccio corretto per aggiustare le economie che loro avevano in precedenza paralizzato con la loro mala gestione. Ci è stato detto che la chiave stava nel balzare sul Popolo Bue imponendo “l’austerità” al fine di continuare a pagare gli interessi ai Parassiti delle Obbligazioni, a qualsiasi costo. Dopo tre anni di questo continuo, ininterrotto fallimento, la Grecia è già insolvente per il 75% dei suoi debiti e la sua economia è totalmente distrutta. La Gran Bretagna, la Spagna e l’Italia stanno tutte precipitando in una spirale suicida, in cui quanta più austerità quei governi sadici infliggono ai loro stessi popoli tanto peggiore diventa il problema del loro debito/deficit. L’Irlanda e il Portogallo sono quasi nella stessa condizione.

Ora, in quello che potrebbe essere il più grande “mea culpa” economico della storia, i media ammettono che questa macchina governativa-bancaria-propagandistica della Troika ha avuto torto per tutto il tempo. Sono stati costretti a riconoscere che l’approccio dell’Islanda al pronto intervento economico è stato quello corretto sin dall’inizio. Quale è stato l’approccio dell’Islanda? Fare l’esatto contrario di tutto ciò che i banchieri che gestivano le nostre economie ci dicevano di fare. I banchieri (naturalmente) ci dicevano che dovevamo salvare le Grandi Banche criminali a spese dei contribuenti (erano Troppo Grandi Per Fallire). L’Islanda non ha dato nulla ai banchieri criminali. I banchieri ci dicevano che nessuna sofferenza (del Popolo Bue) sarebbe stata troppo grande, pur di garantire che i Parassiti delle Obbligazioni fossero rimborsati al cento per cento di ogni dollaro. L’Islanda ha detto ai Parassiti delle Obbligazioni che avrebbero ricevuto quel che sarebbe rimasto dopo che il governo si fosse preso cura del popolo.

I banchieri ci dicevano che i nostri governi non potevano più permettersi la stessa istruzione, lo stesso sistema pensionistico e di assistenza sanitaria che i nostri genitori avevano dato per scontato. L’Islanda ha detto ai banchieri che quello che il paese non poteva più permettersi era di continuare a vedersi succhiare il sangue dai peggiori criminali finanziari della storia della nostra specie. Ora, dopo tre anni abbondanti di questa assoluta dicotomia nelle scelte politiche, è emerso un quadro chiaro (nonostante gli sforzi migliori della macchina della propaganda per celare la verità). Nel loro stile tipico, nel momento in cui i media dell’industria sono costretti ad ammettere di averci gravemente disinformati per molti degli ultimi anni, vengono immediatamente schierati i revisionisti per riscrivere la storia, come dimostrato da questo estratto da “Bloomberg Businessweek” «L’approccio dell’isola al proprio salvataggio ha portato a una ripresa “sorprendentemente” forte, ha affermato il capo della missione del Fondo Monetario Internazionale nel paese».

In realtà, dal momento in cui è stato orchestrato il Crollo del 2008 e i nostri governi moralmente in bancarotta hanno cominciato ad attuare i piani dei banchieri, io ho scritto che l’unica strategia razionale era di mettere il Popolo prima dei Parassiti. Anche se non mi aspettavo che i decisori della politica nazionale traessero la loro ispirazione dai miei scritti, quando stilavo le ricette economiche per le nostre economie non ho basato le mie idee sulla compassione o semplicemente sul “fare la cosa giusta”. Ho, invece, costantemente sostenuto che il fatto che “l’approccio islandese” fosse l’unica strategia che aveva una possibilità di riuscita era una questione di semplice aritmetica e dei più elementari principi dell’economia. Quando Plutarco, 2.000 anni fa, scriveva che «uno squilibrio tra i ricchi e i poveri è il male più fatale di tutte le repubbliche» non stava ripetendo a pappagallo un dogma socialista (1.500 anni prima della nascita del socialismo). Plutarco stava semplicemente esprimendo il Primo Principio dell’economia; qualcosa su cui tutti gli economisti capitalisti moderni che ne hanno seguito le orme hanno basato le loro stesse teorie.

Quando gli economisti moderni esibiscono il loro gergo, come nel caso della Propensione Marginale al Consumo, esso è francamente basato sulla saggezza di Plutarco: che un’economia sarà sempre più sana con la sua ricchezza nelle mani dei poveri e della classe media invece che essere accumulata da ricchi pidocchiosi (e giocatori d’azzardo). Così, quando i Revisionisti di “Bloomberg” tentano di convincerci che la forte (e reale) ripresa economica dell’Islanda è stata una “sorpresa”, ciò potrebbe essere vero se nessuno dei nostri governi, nessuno dei banchieri e nessuno dei preziosi “esperti” dei media comprendesse i più elementari principi dell’aritmetica e dell’economia. E’ questo il messaggio che i media vogliono comunicare? Quello che qui è ancor più insincero è il tono congratulatorio di questo esercizio di Revisionismo, poiché nulla potrebbe essere più lontano dalla verità.

Come ho detto in dettaglio in una serie di quattro articoli un anno fa, la campagna di “stupro” economico perpetrata contro i governi d’Europa negli ultimi due anni e mezzo (in particolare) è stata espressamente mirata a cancellare “l’opzione islandese” per gli altri governi dell’Europa. Uno dei motivi per cui l’Islanda è stata in grado di sfuggire alla garrota della cricca bancaria occidentale è che la sua economia (e il suo popolo) conservavano ancora una prosperità residua sufficiente a resistere, mentre la cricca bancaria cercava di strangolare l’economia dell’Islanda come punizione per aver respinto la loro Schiavitù del Debito. Così, l’austerità non è stata niente di meno di una campagna deliberata per distruggere queste economie europee in modo tale che gli Schiavi fossero troppo economicamente deboli per essere in grado di recidere il loro collare. Missione compiuta!

Si può solo ritenere che né i media dell’industria né i Banchieri Padroni avrebbero consentito che questo chiaro riconoscimento che l’Islanda aveva ragione e noi avevamo torto comparisse sulle loro pagine, a meno che si sentissero sicuri di sapere che tutti gli altri Schiavi del Debito erano stati paralizzati oltre la loro capacità di sfuggire mai a questa oppressione economica. In effetti, quale prova di questo, non dobbiamo che guardare alla Grecia, l’unica altra nazione europea in cui c’erano state “avvisaglie” (cioè rivolte) mirate a rovesciare il Governo Traditore che aveva servito la cricca dei banchieri. Dopo due elezioni, la combinazione di paura e propaganda ha intimidito il popolo greco da lungo tempo sofferente al punto da fargli scegliere un altro Governo Traditore, che si era espressamente impegnato a rafforzare i vincoli della schiavitù economica. Quando gli Schiavi votano per la schiavitù, i Padroni degli Schiavi possono permettersi di gongolare.

Qui, lo scopo di questa propaganda di “Bloomberg” non è stato di elogiare il governo islandese (quando sia i banchieri sia i media dell’industria disprezzano l’Islanda con tutta la loro considerevole malignità). Piuttosto, l’obiettivo di questa disinformazione è stato di costruire una nuova Grande Bugia. Invece della Verità, secondo cui dal primo giorno l’approccio islandese era l’unica strategia possibile che avrebbe potuto avere successo, mentre i nostri governi hanno scelto una strategia destinata a fallire, otteniamo la Grande Bugia. I nostri Governi Traditori avevano agito onestamente e onorevolmente e il successo dell’Islanda e il nostro fallimento sono stati ancora un’altra “sorpresa che nessuno avrebbe potuto prevedere”.

Abbiamo assistito esattamente allo stesso Revisionismo dopo lo stesso Crollo del 2008, quando i media convenzionali hanno tirato in ballo tutti i loro esperti nell’imbonimento per dirci che erano rimasti “sorpresi” da quell’evento economico, mentre quelli del settore dei metalli preziosi erano andati profetizzando un tal cataclisma, in termini ancora più energici, per molti anni. Il vero messaggio, qui, per i lettori, è che quando una strategia economica del Popolo (prima dei Parassiti) ha successo, non c’è nulla di minimamente “sorprendente” al riguardo. Così come non è sorprendente che il fatto che tutto il resto del mondo intorno a noi promuova il benessere dei Parassiti, sia un bene soltanto per i Parassiti stessi.

(Jeff Neilson, “Lo spirito della resistenza è vivo”, da “Znetitaly.org”; intervento tradotto da Giuseppe Volpe per “Senza Soste” e ripreso da “Informare per Resistere” il 1° gennaio 2013).



Paolo Becchi - Attenzione nuove cazzate in arrivo



Qualcuno lo diceva già l' estate scorsa, ma non era l' unico grazie a Dio, le voci fuori dal coro ci sono e si fanno sentire sulla rete già da molto tempo, mentre i media mainstream, asserviti al "partito unico del n€uro"
ci bombardano quotidianamente le sinapsi con il mantra del "più "europa" escludendo completamente il contraddittorio sulla questione costi/benefici rispetto al mantenimento della moneta unica, o relegandolo in orari mattutini o notturni. Ormai l' informazione è, e deve sempre più diventare un gesto attivo, di ricerca e verifica delle notizie, subire passivamente l' informazione che entra nelle case attraverso la televisione è roba vecchia, chi non si adegua a questa nuova realtà sprofonderà progressivamente sempre più nell' ignoranza e sarà sempre più manipolabile.

Paolo Becchi - Uscire dall' euro subito

Complotto ? No ce lo avevano pure detto, ma politica e informazione dove erano ?

Rudiger Dornbusch
economista del MIT, Foreign Affairs 1996:

“La critica più seria all’Unione monetaria è che, abolendo gli aggiustamenti del tasso di cambio, trasferisce al mercato del lavoro il compito di adeguare la competitività e i prezzi relativi (…) Diventeranno preponderanti recessione, disoccupazione e pressioni sulla Bce affinché inflazioni l’economia”.
“Una volta entrata l’Italia, con una valuta sopravvalutata , si troverà di nuovo alle corde, come nel 1992, quando venne attaccata la lira”.

Bettino Craxi
intervista del 1997:

“Si presenta l’Europa come una sorta di paradiso terrestre, ma per noi nella migliore delle ipotesi sarà un limbo e nella peggiore un inferno. Bisogna riflettere su ciò che si sta facendo: la cosa più ragionevole sarebbe stato richiedere e anzi pretendere, essendo noi un grande paese, la rinegoziazione dei parametri di Maastricht”.

Martin Feldstein
professore ad Harvard, Foreign Affairs,1997:

“Invece di favorire l’armonia intra-Europea e la pace globale, è molto più probabile che il passaggio all’unione monetaria e l’integrazione politica che ne conseguirà conduca a un aumento dei conflitti all’interno dell’Europa”.
“Una caratteristica particolarmente critica dell’Unione monetaria europea è che non c’è alcun modo legittimo per i paesi membri di ritirarsi: l’esperienza americana durante la Guerra di secessione del Sud fornisce alcune lezioni sui pericoli di un trattato che non offre via d’uscita. Le aspirazioni francesi all’uguaglianza e quelle tedesche all’egemonia non sono compatibili: gli effetti economici avversi di una moneta unica controbilancerebbero abbondantemente qualsiasi guadagno che si otterrebbe dalla facilitazione del commercio”.

Dominick Salvatore
economista della Fordham University di New York, American economic review, 1997:

“Muovere verso una compiuta unione monetaria dell’Europa è come mettere il carro davanti ai buoi. Uno shock importante provocherebbe una pressione insopportabile all’interno dell’Unione, data la scarsa mobilità del lavoro, l’inadeguata redistribuzione fiscale e l’atteggiamento della Bce, che vorrebbe probabilmente perseguire una politica monetaria restrittiva per mantenere l’euro forte quanto il dollaro. Questa è certamente la ricetta per notevoli problemi futuri”.

Paul Krugman
professore a Princeton, premio Nobel per l’economia, Fortune, 1998:

“L’Unione monetaria non è stata progettata per fare tutti contenti. È stata progettata per mantenere contenta la Germania, per offrire quella severa disciplina antinflazionistica che tutti sanno essere sempre stata desiderata dalla Germania, e che la Germania sempre vorrà in futuro”.

Padoa Schioppa
La costruzione europea é una rivoluzione, anche se i rivoluzionari non sono dei cospiratori pallidi e magri, ma degli impiegati, dei funzionari, dei banchieri e dei professori. L'Europa non nasce da un movimento democratico. Essa si crea seguendo un metodo che potremmo definire con il termine di dispotismo illuminato.
tommaso padoa-schioppa.estratto da un articolo intitolato “gli insegnamenti dell’avventura europea”, apparso sulla rivista francese “commentaire” n. 87, autunno 1999.Economista e politico,ha fatto parte delle più alte istituzioni finanziarie italiane (banca d’italia) ed europee (commissione e bce).Convinto europeista, ha fatto parte del comitato delors che ha disegnato la strada per la creazione della moneta unica.Poi ministro dell’economia e delle finanze nel governo prodi ii e dirigente del fondo monetario internazionale.

http://www.pmcouteaux.org/cabris/cabris2.html

Romano prodi
"Sono sicuro che l'euro obblighera ad introdurre una nuova serie di strumenti di politica economica (riforme liberiste n.d.r.) . E 'politicamente impossibile proporli ora. Ma un giorno ci sarà una crisi e nuovi strumenti saranno creati.

Romano Prodi, EU Comm. Pres. Financial Times, 4 Dec 2001

Helmut Koll
le parole dell’ex cancelliere tedesco Helmut Kohl , colui che si adoperò con tutte le sue forze affinché l’Italia entrasse nella prima tranche dell’euro, non prima di aver esplicitamente richiesto al governo italiano una politica di massiccia deindustrializzazione e privatizzazioni. Egli,nel 1996 affermò: “un’Italia fuori dall’euro farebbe una concorrenza rovinosa all’industria tedesca. L’Italia deve quindi essere subito parte dell’euro, alle stesse condizioni degli altri partner”.

http://icebergfinanza.finanza.com/2012/02/29/germania-grazie-di-tutto-quello-che-fai-per-noi/

Jacques Attalì
CONSIGLIERE DI MITTERRAND E UNO DEI PADRI FONDATORI DELL'EURO:

"Era evidente, e tutti coloro che hanno partecipato a questa storia lo sanno, quando abbiamo fatto l'euro, sapevamo che sarebbe scomparso entro 10 anni senza un federalismo buggettario. Vale a dire con eurobond, ma anche con una tassa europea, e il controllo del deficit. Noi lo sapevamo. Perché la storia lo dimostra. Perché non c'è nessuna zona monetaria che sopravviva senza un governo federale ... Tutti sapevamo che questa crisi sarebbe arrivata."

http://www.youtube.com/watch?v=OK169nietfk&feature=player_embedded

«Abbiamo minuziosamente "dimenticato" di includere l'articolo per uscire da Maastricht.. In primo luogo, tutti coloro, e io ho il privilegio di averne fatto parte, che hanno partecipato alla stesura delle prime bozze del Trattato di Maastricht, hanno...o meglio ci siamo incoraggiati a fare in modo che uscirne ... sia impossibile. Abbiamo attentamente "dimenticato" di scrivere l'articolo che permetta di uscirne. Non è stato molto democratico, naturalmente, ma è stata un'ottima garanzia per rendere le cose più difficili, per costringerci ad andare avanti.

http://www.youtube.com/watch?v=jXBLvGuNVuU&feature=player_embedded

"Ma cosa credeva la plebaglia europea ? che la moneta unica fosse stata fatta per la sua felicità ?"Conversazione con Jacques Attalì riportata da Alain Parguez, Professore emerito dell' università di Besancon ed ex consigliere di Mitterrand - non smentita - non sottoposta a querela.

Mario Monti
Federico Rampini"Perché la Commissione europea ha accettato di diventare il capro espiatorio su cui scaricare l'impopolarità dei sacrifici?"
Risposta di Monti: "Perché, tutto sommato, alle istituzioni europee interessava che i Paesi facessero politiche di risanamento. E hanno accettato l'onere dell'impopolarità ESSENDO PIU' LONTANE, PIU' AL RIPARO, DAL PROCESSO ELETTORALE. Solo che questo un po' per volta ha reso grigia e poi nera l'immagine dell'Europa presso i cittadini.La minaccia esterna di oggi si chiama concorrenza. Questo è un fattore potente di spinta per l'integrazione, anche se l'Europa reagisce troppo lentamente a questa minaccia.Un altro fenomeno che viene percepito come minaccia esterna, e che sta spingendo l'Europa verso una maggiore integrazione, è la minaccia
immigrazione.QUINDI LE PAURE SONO STATE ALL'ORIGINE DELL'INTEGRAZIONE, LE PAURE HANNO CAMBIATO NATURA, PERO' RIMANGONO TRA I MOTORI DELL'INTEGRAZIONE".

Sull'indipendenza della banca centrale (fu Monti il relatore del rapporto sull'indipendenza della Banca d'Italia sulla cui base Andreatta decise il divorzio!!):
"Il rapporto fra democrazia e Banca Centrale è come un deposito che la politica fa in un luogo di lunga durata a cui affida in custodia valori che ritiene importanti.La stessa politica sa che questi valori saranno meglio tutelati, se affidati a qualcuno che può permetterselo trovandosi AL RIPARO DAL PROCESSO ELETTORALE".
Giornalista: "Quali sono gli interventi prioritari perché il Mezzogiorno non resti ai margini dell'Europa?". Risposta di Monti: "La flessibilità, nel senso di mercati meno sclerotizzati. In particolare, un mercato del lavoro che consenta alle retribuzioni di essere PIU BASSE rispetto alle aree maggiori sono i livelli di produttività e il costo della vita".
Citazioni tratte dal libro/intervista Intervista sull'Italia in Europa, 1998

Fabien Postel Vinay
"Professore, lei deve capire perchè esiste il sistema europeo: che cosa vogliamo? Vogliamo distruggere per sempre la gente. Vogliamo creare una nuova tipologia di "europeo", un Nuovo Ordine sociale, una popolazione disposta ad accettare la sofferenza, la povertà e salari inferiori a quelli cinesi".

Fabien Postel Vinay, responsabile del Ministero delle Finanze francesi, conversazione riportata da Alain Parguez professore emerito dell' università di Besancon ed ex consigliere di Mitterrand - non smentita - non sottoposta a querela.

Francois Perroux
Economista francese filonazzista, il padre riconosciuto della moneta unica europea.

"Bisogna riportare lo Stato a strumento che impone le leggi di mercato e quindi bisogna sottrargli anche qualsiasi tipo di controllo sull'emissione monetaria. Grazie a questo progetto che si realizzerà nel futuro, lo Stato democratico scomparirà, il potere sarà interamente detenuto da un direttorio di saggi e di tecnocrati senza alcun controllo da parte del popolo. In questo modo creeranno la società ideale, ovvero quella voluta da Dio. Le risorse saranno concentrate nella mani di quelle elites che sapranno imporre POVERTA' DI MASSA a tutta l'Europa. Questo progetto porterà a un crollo sociale, ma questo è lo scopo: fare in modo che la popolazione non viva più con false speranze e con questi falsi diritti. Una moneta unica per l' Europa toglierà agli stati il potere monetario, è questa una condizione essenziale per distruggerli, senza la capacità di emettere moneta lo stato perde la sua ragion d' essere."

Articolo dal titolo "La moneta nell'economia europea organizzata" comparso sulla Rivista dell'Ordine Economico appoggiata dal regime di Vichy in Francia, dicembre 1943.

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