giovedì 17 gennaio 2013

Claudio Martini - Stati Uniti d'Europa? Un progetto pericoloso e reazionario

Coloro che parlano di stato federale europeo in genere svalutano l'argomento del Demos. Quando si oppone loro il semplice fatto che non esiste qualcosa di paragonabile ad un popolo europeo, essi spesso ribattono indicando esempi di felice convivenza e cooperazione tra popoli diversi chiusi negli stessi confini. Tra questi c'è la Svizzera, ma si potrebbero citare tanti altri paesi, incluso quello che sembra il vero modello degli europeisti, ossia gli Stati Uniti d'America. In effetti l'omogeneità etnica-culturale sembra essere l'eccezione, e non la regola, dello scenario delle formazioni statuali odierne. Sono davvero pochi gli stati, come le Coree o il Giappone, dove lo stesso gruppo etnico rappresenta più del 95% del totale della popolazione. Stati che appaiono monolitici ai nostri occhi superificiali, come la Cina, la Russia o l'Iran, sono in realtà complessi ordinamenti federali caratterizzati da un'ampia varietà etnica e linguistica. Per non parlare di veri universi multiculturali come l'India o la maggior parte degli stati africani.
Eppure questo argomento ha qualcosa che non va. Quando noi constatiamo l'assenza di un popolo europeo non pretendiamo certo che sia condizione per avere una federazione europea che tutti gli abitanti del continente europeo appartengano allo stesso popolo. Sulla scorta degli esempi sopra fatti, basterebbe individuare un'etnia dominante.

Prendiamo la Svizzera:

Tralasciando il dettaglio che la genesi storica della Confederazione risale alla lotta separatista dei cantoni sovrani contro il dominio asburgico, fatto che forse dovrebbe sconsigliare agli europeisti dall'eleggerla a paradigma, notiamo come nella multiculturale Svizzera due terzi dei cittadini parlino tedesco. Certo,dopo secoli di comune convivenza e un sistema educativo all'avanguardia il multilinguismo è assai diffuso. Ciò nonostante i lingua-madre francesi non superano un quinto della popolazione, e gli italiani un decimo.
Negli U.S.A. gli W.A.S.P. sono tutt'oggi la maggioranza assoluta dei cittadini della federazione, la cultura e la lingua (le lingue) induiste dominano l'India, russi etnici e cinesi Han sono rispettivamente i tre quarti e i quattro quinti della popolazione dei loro paesi. E così via. In ogni grande unione multiculturale e multilinguistica è sempre riconoscibile un'etnia dominante che regge i fili di quell'unione. Esiste qualcosa del genere in territorio europeo?
Ovviamente gli unici candidati a svolgere il ruolo di dominanti sono i tedeschi. Ma i tedeschi, anche in un'accezione piuttosto estesa del termine, non raggiungono il 20% della popolazione UE (sono poco più di 90 milioni su 500). Se si escludono soluzioni hitleriane, possiamo concludere che ancora per molto tempo (decenni, se non secoli) il continente europeo, fedele alla sua tradizione, rimarrà privo di un'etnia dominante, e qualsiasi progetto di federazione europea difetterà di quella che l'esperienza ci indica come una condizione imprescindibile per raggiungere l'agognata (ma da chi?) unione sovranazionale.
Ma si potrebbe obiettare che l'esperienza ci permette di qualificare un fenomeno come improbabile, non già come impossibile. Dopotutto c'è sempre una prima volta; e gli europeisti hanno buon gioco ad affermare che gli Stati Uniti d'Europa potrebbero costituire il primo esempio di unione tra popoli diversi posti in condizione di (relativa) parità.Tuttavia uno sguardo all'atlante, nonché un minimo di memoria storica, ci dice che questo genere di unioni è già stato sperimentato. E' il caso, per esempio:

della Bosnia-Herzegovina, un'entità che si suddivide in una federazione croato-musulmana e in una repubblica Srpska totalmente serba.

del Libano, dove ci si divide lungo linee confessionali, e dove la fazione più numerosa (gli sciiti) non raggiunge il 40% della popolazione.

dell'Afghanistan, dove ancora una volta l'etnia più consistente, quella Pashtun, è ben lontana dal rappresentare la maggioranza assoluta.

Infine della Nigeria, dove la grandissima varietà di etnie, tribù, lingue e dialetti compone un mosaico eterogeneo attraversato da una linea di faglia religiosa: metà dei nigeriani è musulmano, metà cristiano.

Non si tratta di esempi di successo. Per completezza si può aggiungere che si tratta dei teatri di alcune delle più spaventose guerre civili delle ultime generazioni.
Badate, qui non stiamo giocando a etno-risiko. La presenza di un popolo e di una lingua comune sono un elemento decisivo non solo dal punto di vista della democraticità di un sistema (pensiamo all'esigenza di disporre di un'opinione pubblica comune e di media condivisi); costituiscono la condizione per la sostenibilità politica di un meccanismo di trasferimenti fiscali e finanziari indispensabile per tenere insieme grandi formazioni statuali. Senza un comune sentire popolare non c'è solidarietà, e senza solidarietà i meccanismi di trasferimento diventano forieri di nuove e più profonde lacerazioni. Ecco una delle analisi più lucide che mi sia capitato di leggere sulle conseguenze dell'operare di quei meccanismi in un contesto privo di solidarietà. Se poi volessimo dare un'occhiata fuori d'Europa, potremmo leggere un bell'articolo proprio sulla situazione nigeriana.
E' facile sorridere dell'argomento del Demos, o cavarsela con una battuta; ma fondare un progetto politico trascurando un simile elemento significa costruire sulle sabbie mobili. Non esattamente un atteggiamento responsabile.
Se poi i nostri interlocutori volessero ignorare del tutto l'importanza di una lingua e di un'appartenenza comune, svalutando completamente il peso dell'elemento entico-culturale, allora bisognerebbe chiedere loro perché non costruire un'unione politica tra i paesi del mediterraneo. Perché non ci federiamo con l'Albania, il Marocco, la Turchia, l'Egitto? Se davvero l'elemento culturale e linguistico non vale niente, non ci dovrebbero essere difficoltà nella realizzazione di un simile progetto. E dato che con internet e con la globalizzazione gli spazi si annullano, presto potremmo allargare la federazione al Turkmenistan, al Madagascar, allo Sri Lanka.
Paradossale? Non tanto, a meno che non si ammetta la natura veramente paradossale di una proposta politica che trascuri il Demos. Forse gli europeisti farebbero bene ad ammettere che anche alla base della loro proposta c'è un elemento identitario, ossia la comune appartenenza all'Europa cristiana (e bianca). O comunque "occidentale", visto che nessuno si è mai sognato di fare entrare la Giordania, ma tanti hanno proposto l'ingresso di Israele. Ciò è molto coerente con l'affermazione sovente ripetuta che gli europei dovrebbero unirsi "per far fronte", "per tenere testa" alle potenze emergenti. Non proprio valori progressisti, direi; anzi uno squallido (e un tantino reazionario) nazionalismo europeo, creato ad arte dalle classi dirigenti per imporre il proprio volere alle masse.

In conclusione:

a) non esiste un esempio di processo federativo di successo che non sia caratterizzato dalla presenza di un'etnia dominante;

b) esistono vari esempi di stati falliti le cui disgrazie sono dovute all'assenza di un'etnia dominante;

c) gli europeisti, se vogliono avanzare delle propose politicamente responsabili non possono limitarsi a ignorare questi argomenti;

d) spesso la svalutazione di questi argomenti da parte degli europeisti rivela un retropensiero identitario che non hanno il coraggio di confessare.

http://il-main-stream.blogspot.it

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