venerdì 19 aprile 2013

Gennaro Zezza - Dopo l' €uro....

C’è un timore diffuso che una eventuale uscita dall’euro dell’Italia, con il ritorno ad una valuta nazionale, sarebbe una catastrofe, perché la “nuova lira” si svaluterebbe rispetto all’euro in modo consistente, questo farebbe aumentare i prezzi dei beni importati, in particolare petrolio ed energia, e l’inflazione aumenterebbe in modo vertiginoso, costringendoci a far la spesa con carriole di banconote.
Se si tornasse ad un sistema in cui il prezzo della valuta nazionale viene deciso da domanda e offerta di valuta nazionale contro valuta estera, qual’è davvero la posizione dell’Italia?
La domanda netta di una valuta dipende dalla differenza tra gli incassi del Paese e i pagamenti fatti all’estero, che a loro volta hanno origine da (1) scambi commerciali; (2) trasferimenti, come il pagamento di interessi; (3) operazioni finanziarie come l’acquisto di titoli.



Il saldo commerciale dell’Italia – per le merci – è riportato nel primo grafico, che utilizza dati mensili Istat, cumulati su dodici mesi. Da Agosto 2012 il saldo è tornato positivo, per il crollo delle importazioni dovuto alla crisi, ma anche per la crescita delle esportazioni.


Il secondo grafico mostra l’andamento delle vendite di merci italiane agli altri Paesi dell’Unione europea, e al resto del mondo. Si nota come l’andamento delle vendite verso l’Unione europea, in gran parte ferma per le politiche di austerità, abbia ristagnato, mentre sono aumentate le vendite verso Paesi terzi, con una perdita del peso relativo del mercato europeo come collocazione delle nostre esportazioni.

Il terzo grafico riporta il saldo tra incassi e pagamenti in conto corrente, insieme al saldo commerciale per le merci. I pagamenti totali sono ancora superiori agli incassi, e quindi da qui emerge una domanda netta di valuta estera (che spingerebbe alla svalutazione di una valuta nazionale). Ma qual’è a differenza tra saldo commerciale e bilancia delle partite correnti? Oltre al saldo del commercio di servizi, in sostanziale pareggio, le altre voci riguardano i redditi da lavoro (rimesse degli immigrati) ma soprattutto i redditi da capitale, e cioè gli interessi che gli italiani (governo e settore privato) pagano all’estero in ragione dei prestiti ricevuti, al netto degli interessi incassati.

E’ questa voce, insieme ai trasferimenti netti, a tenere il nostro saldo con l’estero in deficit. Una parte consistente dipende dai tassi di interesse elevati pagati ai creditori esteri (lo spread!), che progressivamente sparirebbero con le modifiche alle regole del gioco che seguirebbero l’uscita dall’euro.
Quindi, se uscendo dall’euro si riducono i trasferimenti netti all’estero e il pagamento di interessi, non c’è alcuna pressione verso la svalutazione dal conto corrente. Tradotto: siamo competitivi. C’è sempre, ovviamente, la possibilità di attacchi speculativi sui mercati finanziari, e ci sono gli strumenti per evitarla.
E, per inciso, se l’Italia è in crisi e abbisogna di riforme strutturali, di precarizzare il lavoro, di ridurre i costi ecc ecc ecc, come mai le nostre imprese (almeno alcune!) vendono all’estero sempre di più? Evidentemente i problemi sono altri.




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