sabato 25 maggio 2013

giovedì 23 maggio 2013

Manifesto per la solidarietà europea




Nasce il Manifesto Per La Solidarietà Europea (European Solidarity Manifesto), un documento firmato da eminenti economisti europei, di diverse nazioni ( per l'Italia Alberto Bagnai e Claudio Borghi Aquilini ).
In questo importante documento si parte dal concetto che la crisi dell' Europa, la sua gestione e l' Euro stesso, stanno minando alla base le società europee, i loro valori di solidarietà sociale, le loro economie con pesantissime ripercussioni sulle popolazioni e sui ceti più deboli.
Il rischio che venga a mancare la tenuta sociale, che si arrivi a vere e proprie guerre civili e che aumentino viepiù le tensioni tra i diversi stati europei, è oggi una concreta minaccia.
Il manifesto si propone di richiedere l' uscita dall' Euro delle nazioni ad economia più forte ( Germania e altri paesi core ) lasciando l' Euro ai paesi della periferia, con l' intento di attuare su quest' ultimo una politica di svalutazione in modo da fare recuperare competitività a questi paesi.
Questo dovrebbe essere solo un primo passo verso il ritorno ad un sistema di valute nazionali o perlomeno all' individuazione di aree monetarie omogenee in Europa che consenta loro di adottare una stessa valuta.
E' questa, sostengono i firmatari, l' unica possibilità di fare ripartire dialogo e cooperazione tra i vari paesi europei e per ricominciare un discorso di integrazione e collaborazione che possa portare in futuro alla costituzione di una vera Europa. Qui sotto il link al sito ufficiale del manifesto.

http://european-solidarity.eu/index.php


venerdì 17 maggio 2013

Tempesta perfetta - Report e la banalità del male


L’AUSTERITA’ E’ STUPIDA, CREA SOFFERENZA E RITARDA LA RIPRESA: LA BANALITA’ DEL MALE


Nel 1963 la filosofa e scrittrice tedesca Hannah Arendtscrisse un libro e coniò un'espressione che descrive bene uno degli aspetti più ambigui e perversi del male: la sua banalità. Spesso chi fa del male non ha nemmeno la capacità di pensare e riflettere, la facoltà di distinguere tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, un metro di giudizio affidabile per valutare le proprie azioni e ponderare le implicazioni morali e conseguenze pratiche del proprio operato. Nello specifico, la Arendt rimase impressionata dalla superficialità e dall’indifferenza con cui il criminale nazista Eichmann presenziò al processo che lo avrebbe portato alla condanna a morte per impiccagione: si trattava di un omuncolo normale, mediocre, né demoniaco né mostruoso, che per tutta la vita non aveva fatto altro che eseguire ordini e istruzioni che venivano dall’alto senza mai eccepire o chiedersi intimamente qualcosa sulla loro giustezza, moralità, razionalità. In una visione totalmente burocratica e alienante della vita, Eichmann eseguiva ed applicava incondizionatamente delle regole, pensando di essere un cittadino modello, un uomo onesto che rispettava le leggi e l’autorità costituita. Disquisire sulla bontà delle leggi e sull’assennatezza dei propri superiori era qualcosa che esulava dai propri compiti e principi, perché per Eichmann la cieca obbedienza e la fedeltà erano gli unici valori che riecheggiavano all’interno della sua misera coscienza.


Con le dovute proporzioni, possiamo dire che da questo punto di vista tutti coloro che oggi stanno condannando alla miseria, alla disperazione, all’emarginazione milioni di persone in Europa, dagli altolocati tecnocrati di Bruxelles fino all’ultimo scribacchino di un qualsiasi giornale di regime, non sono tanto diversi dai gerarchi nazisti che massacrarono milioni di ebrei nei campi di concentramento. Sono “banali” e stupidi allo stesso modo: o perché non conoscono le conseguenze delle proprie azioni o perché non hanno la capacità di ragionare su possibili alternative alle proprie regole e leggi evidentemente sbagliate. E’ indubbio che in mezzo a questa massa indistinta di idioti e mediocri ci sia qualcuno più furbo e più in malafede rispetto agli altri, che volontariamente persegue il male per tutelare il bene di una minoranza, ma diventa sempre più difficile e complicato distinguerlo e isolarlo dal resto della sgangherata e gioiosa armata di imbecillità collettiva. Il caso della trasmissione di domenica scorsa di Report, intitolata “Gli Austeri”, è esemplare in questo senso: per tutta la durata del programma si è insistito a sottolineare gli effetti nefasti dell’austerità e la maggiore ragionevolezza delle politiche espansive della spesa pubblica in periodo di recessione, eppure con la stessa miopia e cecità di automi decerebrati si è ripetuto che in Europa non si possono attuare né programmi di infrastrutture e investimenti pubblici né manovre monetarie di alleggerimento quantitativo a causa del vincolo del pareggio di bilancio e dellaperdita della sovranità monetaria. Facendo però velatamente intendere che  senza violare le regole e i vincoli previsti dai trattati europei esiste un geniale metodo intermedio per conciliare le politiche espansive con il mantenimento del pareggio di bilancio e della moneta unica privata chiamata euro. In altre parole si è trattato di un clamoroso e sfacciato spot della cosiddetta “austerità espansiva”, ovvero di una meschina mistificazione accademica che lo stesso Fondo Monetario Internazionale si è affrettato tempo fa a bocciare tecnicamente e a discreditare a livello politico e sociale.



Ma Milena Gabanelli cos’è? Un mostro, una demoniaca carnefice, un consapevole strumento della propaganda di stampo nazista? No. La Gabanelli è soltanto una delle tante persone “stupide”, “idiote”, “banali” che abbondano in questo periodo storico, la quale svolge il suo umile compitino pensando di fare il bene e ignorando invece di stare dalla parte del male. Ascoltando meglio le sue parole si capisce perfettamente che la giornalista di Raitre non sa nemmeno di cosa sta parlando quando si interroga su questioni come la spesa pubblica, il pareggio di bilancio, la politica monetaria di una normale banca centrale. Lei pensa che tutti i problemi dell’Italia siano dovuti agli sprechi, alla corruzione e all’evasione fiscale, prospettando il modello tedesco come l’unico eldorado virtuoso di felicità ed efficienza a cui ispirarsi. Eppure la Gabanelli è talmente “stupida” da non accorgersi che durante l’intervista del vice-capo economista della banca statale tedesca KFW, il dirigente con la solita superficialità e banalità di chi non sa di delinquere ammette di potere fare prestiti vantaggiosi alle imprese teutoniche grazie alla possibilità di finanziarsi con tassi di interessi bassi simili a quelli dei bund tedeschi e di ricevere ulteriori contributi dallo Stato per mantenere ancora più bassi gli interessi. Il modello tedesco quindi prospera su due evidenti storture e infrazioni dei trattati europei, a cui le altre nazioni, compresa l’Italia, sono costrette invece ad attenersi rigorosamente: da una parte l’incapacità della BCE di mantenere un tasso di interesse unico per tutti i paesi dell’unione monetaria e dall’altra il divieto di aiuti di Stato che possano avvantaggiare l’economia di un paese a danno degli altri, in aperto contrasto con il presunto spirito di cooperazione e collaborazione che anima almeno a parole gli stessi trattati.


Unendo a queste irregolarità, l’arcinoto dumping salariale iniziato con l'unificazione tedesca e concluso con leriforme Hartz del mercato del lavoro del 2003-2005, con cui la Germania ha lucidamente pianificato la suapolitica di concorrenza sleale e aggressione commerciale nei confronti dei paesi alleati dell’unione, si comprende come gran parte del successo tedesco sia basato non solo sulla rigidità di cambio imposta dall’euro ma anche e soprattutto sul mancato rispetto degli accordi e dei trattati europei (a tal proposito consiglio vivamente di leggere l’articolo del blog Orizzonte48, che chiarisce ancora meglio a livello giuridico e normativo gli aspetti tecnici della questione). In pratica, senza nemmeno capirlo o paventarlo, la Gabanelli vuole suggerirci che per uscire dalla crisi l’Italia dovrebbe essere scorretta e disonesta come la Germania: liberandosi dal tarlo dell’evasione fiscale e della corruzione (che guarda caso esiste, eccome se esiste, anche nella morigeratissima Germania), per abbracciare anima e corpo la strategia criminale della giungla giuridica e commerciale, chepremia in Europa chi non rispetta i vincoli e le regole. E tutto questo per dire che si possono attuare politiche di sviluppo in Europa senza uscire dall’euro, senza abbandonare la dottrina mistica dal pareggio dei conti pubblici e del consolidamento fiscale, senza pregiudicare le regole sacre del libero scambio, tutte cose cioè che la Gabanelli non auspicherebbe mai essendo anche lei impelagata fino al collo (per ragioni più politiche, professionali, carrieristiche) nella palude melmosa del “Sogno dell’Euro” e nella mitologia arcadica degli “Stati Uniti d’Europa”. Non è un caso infatti che durante l’intera trasmissione non venga neppure fatto un minimo accenno o una rapida menzione ai problemi derivanti dall’adozione di una moneta unica e per giunta privatizzata in Europa: come se l’austerità fosse una scelta arbitraria e provvisoria e non avesse alcuno stretto legame di interdipendenza con l’euro. Un errore tecnico e uno strafalcione giornalistico che crea più di un dubbio sulla buona fede della “banale” professionista della disinformazione.


E nella parte finale del programma la Gabanelli ha pure la sfrontatezza di pungolare la nostra distratta e inqualificabile classe dirigente, affinché si affretti a farsi furba e a seguire l’esempio criminogeno della Germania. Siamo al paradosso puro, in cui gli adorati paladini mediatici del bene come la Gabanelli denunciano da una parte i mali e i vizietti provinciali dell’Italia, invitando dall’altra i nostri politici a delinquere in maniera più vistosa e internazionale. E la cosa più inquietante è che i nostri politici, “idioti” e “stupidi” ancora più che la Gabanelli, pare che abbiano preso sul serio questo tipo di ammonimenti e invettive, dato che si sono rinchiusi per giorni in ritiro in un’abbazia per studiare mirabolanti teorie economiche espansive senza espandere effettivamente il bilancio pubblico. Un ossimoro, insomma: come chi cerca di lavarsi senza bagnarsi, chi vuole saziarsi senza mangiare, chi vuole dissetarsi senza bere. Va bene che la politica è l’arte del compromesso e della mediazione, ma c’è un limite alla decenza e alla capacità di sopportazione. Bisogna decidersi una buona volta nella vita: o si vuole l’austerità, il pareggio di bilancio, la cesura fra politiche fiscali e monetarie, il taglio della spesa pubblical’aumento delle tassel’elevata disoccupazione, la svalutazione interna dei salari, ladeflazione, le strategie mercantiliste di supporto alle esportazioni, le disparità e le sofferenze sociali e si rimane nell’euro. Oppure si decide di cambiare rotta con politiche espansive di spesa pubblica,coordinamento fra politiche fiscali e monetarietaglio delle tassestimolo alla domanda e alla produzione internasvalutazione monetariaaspettative inflazionisticheriduzione delle importazionipolitiche di piena occupazione e si esce dall’euro. La via di mezzo che mette al sicuro capre e cavoli, la soluzione salvifica dell’“austerità espansiva prospettata dalla Gabanelli e da tutti gli “idioti” come lei non esiste e non esisterà mai sul nostro pianeta. Bisogna farsene una ragione. E un giorno tutte queste persone, volenti o nolenti, dovranno assumersi la responsabilità di tutto il male che hanno “banalmente” e “distrattamente” fatto al nostro paese, turlupinando la gente con una serie interminabile di menzogne e rendendola ignara della verità dei fatti.


Fra l'altro, è’ interessante notare come dal punto di vista dei conti pubblici l’austerità non garantisce nemmeno il raggiungimento dall’agognato pareggio di bilancio o degli avanzi strutturali necessari per l’abbattimento del debito pubblico al di sotto della fatidica soglia del 60%, dato che il drastico calo del reddito nazionale non solo causa minori entrate tributarie ma peggiora i rapporti del deficit e del debito pubblico, che pur diminuendo in valore assoluto aumentano poi in termini percentuali. Mentre diverso è il discorso che riguarda invece i conti con l’estero visto che la distruzione dei redditi, dei risparmi, dei consumi nel sud Europa sta in effetti portando ad unaconvergenza delle partite correnti della bilancia dei pagamenti: diminuiscono le importazioni del sud e di conseguenza si stabilizzano o si riducono i surplus commerciali della Germania (guarda grafico sotto). Tutto ciò però sta avvenendo a costo di pesanti sacrifici, tensioni sociali, proteste diffuse sia nel sud martoriato che nel nord che ha visto man mano diminuire i suoi precedenti tassi di crescita.


La speranza folle è che una volta rimarginati gli squilibri si possa ripartire con un nuovo ciclo espansivo, trainato o da una maggiore domanda al di fuori dell’Europa (Stati Uniti e Giappone in testa) oppure da una ripresa dei consumi interni all’eurozona dovuta alla riduzione dei prezzi e al maggiore potere reale di acquisto dei risparmi, che secondo le immaginifiche previsioni degli eurocrati dovrebbe riportare la fiducia e spingere gli europei a ricominciare a spendere ed investire. E’ una strada insomma lastricata di dolore, dubbi, incertezzeche potrebbe presto interrompersi a causa delle rivolte popolari e delle reiterate bocciature elettorali che sicuramente si succederanno durante il faticoso percorso che ancora ci attende (ricordiamo che l’austerità in Europa è destinata a rimanere almeno per altri venti anni, come prescritto dai micidiali vincoli di abbattimento del debito pubblico previsti dal Fiscal Compact).


Ripetiamo che in altri paesi del mondo più “normali”, questi stessi aggiustamenti stanno avvenendo in modoinfinitamente più indolore e democratico puntando su una maggiore spesa pubblica e su un più incisivo intervento diretto delle banche centrali: invece di svalutare i salari, Giappone e Stati Uniti stanno scommettendo sulla svalutazione della moneta, che a conti fatti porta ugualmente ad una riduzione delle importazioni, aumento delle esportazioni, miglioramento della bilancia dei pagamenti nel suo complesso. Quindi la vera domanda che bisognerebbe porsi è a chi giova veramente il dolore e la sofferenza che si sta infliggendo agli europei, visto che altrove la situazione è molto meno drammatica e insidiosa. Se un certo evento negativo è evitabile e però accade lo stesso, significa che è fortemente voluto da qualcuno. Ed è ormai inutile ribadire che le oligarchie europee sono molto soddisfatte di come stanno andando le cose in Europa e non rinunceranno molto volentieri al loro progetto reazionario di ripristinare gli antichi poteri assoluti e monarchici nel vecchio continente. In fondo i vassalli, valvassini, valvassori e menestrelli di corte pronti a tutto per difendere il sovrano e ansiosi di entrare nelle grazie dei nuovi regnanti si moltiplicano con cadenza esponenziale, come sempre accade in qualsiasi epoca storica e latitudine geografica.   


Basta dare un’occhiata al prossimo grafico sulla competitività per capire il motivo di tanto appagamento da parte dei ricchi governanti e spregiudicati despoti. In termini di Costo del Lavoro per Unità di Prodotto (CLUP, in inglese ULCUnit Labour Cost), in Europa si sta assistendo ad un tentativo di convergenza che non punta molto sull’aumento della produttività, ma esclusivamente sulla riduzione dei salari e del reddito medio da lavoro dipendenteTuttavia siccome il vantaggio competitivo accumulato dalla Germania nel periodo di boom è amplissimo, è quasi impossibile per gli altri paesi ripristinare lo scarto nel medio-lungo periodo. Si tratta insomma di una gara già persa in partenza, che farà tanti morti e feriti lungo il cammino senza arrivare mai ad una conclusione certa e favorevole per tutti. L’aggressiva politica mercantilista tedesca sta forzando tutti gli altri paesi dell’eurozona ad intraprendere una folle corsa al ribasso dei salari e dei diritti dei lavoratori che si sa quando inizia ma non si sa quando finisce: visto che le condizioni al contorno non sono quelle ideali per augurarsi una ripresa dell’economia per mezzo di una maggiore produttività e di un rilancio delle esportazioni (e poi c’è il solito ma non trascurabile dettaglio che non tutti i paesi possono diventare esportatori netti contemporaneamente), questa gara senza quartiere per massacrare lo stato sociale, le costituzioni democratiche e il tenore di vita dei lavoratori porterà senza ombra di dubbio ad un ulteriore inasprimento delle tensioni sociali, che prima o dopo sfocerà in aperto conflitto (speriamo non armato, anche se esistono tutte le premesse affinché la conclusione di questo scontro epocale fra monarchici e democratici sia sanguinosa e violenta).


In buona sostanza, abbiamo visto che l’austerità funziona abbastanza bene come strumento di aggiustamento degli squilibri con l’estero, ma il prezzo da pagare in termini di coesione e malcontento generale è altissimo: come ripetono spesso gli esperti delle politiche del rigore, per applicare qualsiasi piano di intervento draconiano bisogna che ci sia un elevato grado di fiducia e di compartecipazione da parte di coloro che sono i principali danneggiati dai tagli. Ovvero proprio quello che manca ed è mancato in Europa in questi ultimi anni: lo scetticismo e lo scarso gradimento nei confronti delle azioni discutibili e delle scelte deprecabili della tecnocrazia europea ha infatti raggiunto, non a torto, il suo picco da diverso tempo. E come si può imporre dei sacrifici e delle privazioni alla gente che ormai non crede più nell’utilità di queste misure? Inoltre c’è un ultimo aspetto da considerare: la disoccupazione. Per favorire la dolorosa convergenza degli squilibri che si sta attuando oggi in Europa bisogna mantenere ancora per qualche anno un insostenibile tasso di disoccupazionenei paesi in deficit (stressed countries: Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna, Italia, Cipro, Slovenia) rispetto a quelli in surplus (vedi grafico sotto), perché un qualsiasi miglioramento nei livelli occupazionali della periferia potrebbe rendere vano il tentativo di recupero di competitività tramite svalutazione interna dei salari, far ripartire la ripresa delle importazioni e innescare la creazione di nuovi disavanzi commerciali. E fino a quando un’unione monetaria, che vive su impalpabili principi di omogeneità e uguaglianza di condizioni, potrà reggere ad una disparità così tragica ed evidente in uno dei fattori più determinanti e delicati nella vita sociale e politica di ogni singolo paese?


In definitiva, la Gabanelli e tutte le persone “banalmente” stupide (o “diabolicamente” malefiche) come lei, dovranno lavorare parecchio di trama e ordito per convincere milioni di persone che la via che si sta perseguendo oggi in Europa sia la migliore possibile e non esistano altre alternative valide per uscire dai pantani delladepressione economica fortemente voluta e assolutamente evitabile. Per restare in bilico e rimanere credibili per molti anni ancora servono talmente tanti e tali equilibrismi logici e linguistici che è davvero difficile prevedere la buona riuscita di una simile strategia da circensi mediatici e truffatori di bottega. Quello che gli europei, dai tedeschi ai greci passando per italiani, spagnoli, francesi, dovranno chiedersi da qui in avanti è se vale la pena sacrificare le proprie vite, il proprio futuro, le proprie speranze, le proprie aspettative, per mantenere alto il totem di una moneta unica, che si regge soltanto sulla sofferenza, sul dolore, sull’umiliazione delle classi lavoratrici a vantaggio di quelle agiate e dei rentiers. E visto che per fortuna sta nascendo in Europa un forte partito di dissenso trasversale e transnazionale nei confronti di questo vessillo della stupidità e della brutalità umana, sarà molto complicato che così come accadde al nazista Eichmann, anche la Gabanelli e i suoi sodali potranno un giorno giustificarsi di fronte alle accuse di collaborazionismo, con un semplice: “Ma noi non sapevamo!”. Sapete, sapete, altroché se sapete, ma siete talmente idioti, stupidi, superficiali, banali da non riuscire nemmeno lontanamente ad immaginare le conseguenze pratiche delle vostre azioni scellerate e leimplicazioni morali della vostra spregevole condotta.




domenica 5 maggio 2013

ARS - Il cuore pulsante dell' Italia

E' l'ora della mobilitazione, l' informazione non è più sufficiente, ora si tratta di unire le migliori forze del paese, quelle che hanno sempre trainato questa nazione, combattendo per una Italia più ricca ma anche e soprattutto più giusta, L' unione Europea e l' Euro sono di fatto strumenti del liberismo, profondamente antidemocratici, che hanno avuto ed hanno tutt'ora un ruolo determinante nella redistribuzione della ricchezza dall' economia reale ed in particolare dai soggetti più deboli alla rendita ed alla speculazione finanziaria, dalla finanza pubblica alla finanza privata, con tutto quello che ne è conseguito, oggi gli effetti di questa infinita serie di misure economiche, trattati internazionali e modifiche degli assetti istituzionali, si manifesta nel pieno della sua potenza e, se rimane fondamentale l' opera di informazione libera contro i luoghi comuni che vengono continuamente propalati dai media mainstream, è altrettanto vero che si rendono indispensabili forme di mobilitazione concreta perchè le istanze della classe media e medio-bassa del paese non vengano ancora una volta calpestate, quando inevitabilmente  ( secondo noi ) la costruzione dell' euro crollerà. Questo blog appoggia l' iniziativa dell' avvocato Stefano D' Andrea e il nascente movimento politico ARS che parte dalla sua incessante azione. Vi invitiamo a cercare i video di Stefano D'Andrea su Youtube ed a visitare i siti:

http://www.riconquistarelasovranita.it/
http://www.appelloalpopolo.it/

Nei quali troverete varie informazioni sull' attività presente e futura, vi potrete iscrivere e sostenere l' attività di questa nascente forza politica che definirei di sinistra patriottica. La richiesta, per chi non è nelle condizioni di donare di più, è veramente minima, si parte da 10 euro, ma anche qualora non ci si volesse iscrivere, si possono seguire le idee, le informazioni e le attività dell' associazione e si trovano i contatti mail dei rappresentanti locali di tutta Italia, con i quali si può entrare in contatto per offrire la propria professionalità, o semplicemente il proprio tempo. Ogni contributo è prezioso.


Il cuore pulsante dell' Italia

I contadini soldati della Roma repubblicana, gli artigiani e i mercanti dei liberi comuni, la piccola borghesia operaia e professionale del dopoguerra: da duemila anni questo è il blocco sociale che ha segnato, quando è riuscito a prevalere, i momenti migliori del paese. L'ARS si candida a rappresentarlo.

Il rischio di una soluzione elitaria

E' possibile che, anche all'interno delle élites europee che hanno voluto la moneta unica, sia in corso un confronto sulla fattibilità e sui costi politici del progetto. E probabile che il progetto fondato sull'ideologia ultraliberista (quella, per intenderci, che ipotizza la capacità dei mercati di autoregolamentarsi fino a trovare un equilibrio che garantisca il predominio delle classi sociali più abbienti, assicurando al contempo il funzionamento del mercato) appaia a una parte di queste élites come un obbiettivo sempre più irraggiungibile, se non al prezzo di una guerra totale interna al sistema capitalistico europeo. E dunque possiamo immaginare che, all'interno delle élites, si stia sviluppando una dialettica che ha per tema l'opportunità di continuare l'esperimento, oppure porvi termine tornando ad un assetto più tradizionale.


Il dibattito sul tema è però del tutto assente in Italia, soffocato da una censura che lascia pochissimo spazio alle voci dissenzienti. Solo sul web gruppi numericamente limitati di bloggers dibattono sulla crisi dell'euro, mentre la stragrande maggioranza delle persone resta in uno stato di totale inconsapevolezza, drogata da narrazioni fantasiose che spesso sconfinano nel terrorismo mediatico. Ce ne accorgiamo non appena apriamo una discussione sulla crisi con amici occasionali. La spiegazione più comunemente accettata ascrive alla corruzione la causa delle difficoltà, mentre ogni tentativo di dibattere la sostenibilità dell'euro provoca immediate reazioni di chiusura. A peggiorare le cose vi è il fatto che si sono diffuse, negli ultimi anni, alcune teorie "salvifiche", dal signoraggismo alla MMT introdotta dal giornalista Paolo Barnard, che stanno contribuendo, non poco, alla confusione imperante, anche tra coloro che, in buona fede, cercano di capirci qualcosa.Il discorso di Gianni Letta potrebbe essere letto in quest'ottica. I sondaggi che danno il nuovo partito "Alternativa per la Germania" intorno al 20%, e la clamorosa affermazione, nelle elezioni locali  inglesi, della formazione di Nigel Farage, l'UKIP, giunta al 25%, sono due segnali del fatto che ampi settori della destra europea non hanno più fiducia nel progetto euro. Troppo grandi sono i danni che la moneta unica sta causando a interessi corposi, per i quali le politiche di austerità, richieste per sanare gli squilibri indotti dall'euro, cominciano a non essere più accettabili. Queste, infatti, non danneggiano solo i lavoratori salariati, ma anche l'economia reale, in una misura che sembra non aver limiti. Una parte del capitalismo europeo ne ha, forse, abbastanza.
La situazione, dunque, è pessima. Né è di aiuto l'atteggiamento di alcuni economisti critici, i quali, pur dicendo delle mezze verità, sembrano tuttavia restii a prendere decisamente posizione contro la follia dell'euro, vagheggiando ancora possibili vie d'uscita basate su radicali modifiche dell'assetto istituzionale dell'Unione Europea, con proposte che vanno dagli eurobond alla generica invocazione di una fine dell'austerità. Solo uno sparuto gruppo di opinionisti, il cui nume tutelare è l'economista Alberto Bagnai, pongono con coraggio il problema nei suoi termini reali: l'euro, così come è, è insostenibile, e manca la volontà politica di cambiare le cose.
Il dibattito resta così circoscritto alle persone dotate di maggiori capacità critiche e non asservite a logiche di appartenenza politica. Come dire, una sparuta minoranza, nonostante il successo del blog di Bagnai. Così stando le cose, tutto il potere decisionale è, oggi, nelle mani delle élites, perché manca una sufficientemente ampia percezione di massa dei termini del problema. Questa circostanza pone un problema di estrema gravità: la prossima fine dell'euro (chi scrive la considera un fatto scontato) troverà l'opinione pubblica italiana assolutamente impreparata, e dunque ampiamente manipolabile. Il rischio è che l'uscita, quando ci sarà, venga gestita solo ed esclusivamente dalle élites. Il problema politico che abbiamo, ridotto nei suoi termini essenziali, è il seguente: come evitare che la transizione venga gestita esclusivamente dalle élites?

La soluzione non è Internet

La rete è uno strumento formidabile, ma la politica non è solo comunicazione. Si fa politica organizzando e disciplinando gli interessi delle classi sociali che si intende difendere, dunque militando e fondando un partito. La rete è uno straordinario strumento, ma non può sostituire la militanza. Coloro che pensano che basti dire la verità, perché possano cambiare le cose, commettono un errore di stampo illuminista, oppure pensano, in cuor loro, che sia destino che le grandi decisioni vengano prese, sempre e comunque, dalle classi dominanti. Ma ciò che le rende "dominanti" è proprio la loro capacità di agire in modo coordinato, confinando al loro interno il dibattito reale, anche quando questo è massimamente aspro, come è più che possibile stia accadendo proprio ora. Le classi dominanti, al contrario di quelle subordinate, non hanno perso il valore della militanza, e anzi hanno operato pervicacemente al fine di convincere i dominati del fatto che questa sia qualcosa di superato, di vecchio, perfino contrario alla vera democrazia. La quale, invece, vivrebbe di partecipazione continua, oggi finalmente possibile grazie alla rete. Una boiata pazzesca, alla quale molte persone, anche intelligenti e colte, hanno finito con il credere.
La militanza, invece, è l'unico strumento per mezzo del quale le classi subordinate possono sperare di confrontarsi con successo con le classi dominanti. Si tratta di selezionare e formare, attraverso le strutture di un partito, una classe dirigente capace di organizzare e rappresentare interessi di classe che, nella vita reale delle persone, sono individuali, pur costituendo, nel loro insieme, un blocco sociale. E' un lavoro faticoso, che pretende dedizione totale, non sostituibile dalle forme di partecipazione diffusa e, per forza di cose, occasionali, vagheggiate dai fautori della democrazia diretta. Questa, al più, può svolgere, se democraticamente istituzionalizzata, la preziosa funzione di controllo delle degenerazioni cui finisce con l'andare incontro la forma partito tradizionale. Cosa che accade, per altro, ad ogni costruzione umana. Ma rifiutare la forma partito, e il valore della militanza, solo perché gli attuali partiti sono degenerati e corrotti, significa gettare il bambino con l'acqua sporca.
L'unico tentativo serio di costituzione di un nuovo partito di classe, con cui io sia entrato in contatto, è l'ARS (Associazione Riconquistiamo la Sovranità), al quale ho infatti aderito. L'ARS è un partito di classe perché si propone di organizzare gli interessi di un blocco sociale, identificabile nella piccola borghesia operaia e professionale, nella quale viene individuato il cuore pulsante del Paese. Si tratta di quello stesso blocco sociale che, nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, a causa della situazione internazionale si divise, finendo con l'essere rappresentato in parte della Democrazia Cristiana, e in parte dal Partito Comunista Italiano e dal Partito Socialista Italiano. Questi partiti, sebbene schierati ideologicamente su fronti opposti, seppero tuttavia trovare un punto di equilibrio, la cui stella polare fu, per decenni, l'interesse generale del Paese. L'estremo tentativo di conciliare quella divisione artificiale, indotta dalla guerra fredda, naufragò negli anni settanta, allorché il nostro paese divenne terreno di scontro degli interessi delle grandi nazioni vincitrici. Ma quel blocco sociale, che ovviamente rimane attraversato da contraddizioni e conflitti, è ancor oggi il vero argine agli interessi predatori del grande capitalismo globale sovranazionale, e, in questa fase, deve ritrovare unità d'azione e di intenti. Organizzarlo, dargli una rappresentanza, è oggi l'obbiettivo politico dell'ARS. L'uscita dall'euro prossima ventura, se riusciremo a dare forma e sostanza a questa iniziativa politica, non sarà gestita solo dalle élites globaliste. 


Fiorenzo Fraioli per Ecodellarete.net

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