mercoledì 27 febbraio 2013

Paul Krugman - Morte per Davos

Per Krugman sul New York Times le elezioni in Italia segnano l'inizio della fine, dovuta alla cecità della élite che ci governa, che non arriva a capire che il popolo vuole crescita e lavoro, e non l'austera stabilità, e questo è tutto.

The Conscience of a Liberal - E' così che finisce l'euro: non con le banche, ma col bunga-bunga.

OK, l'euro non è - ancora - condannato. Ma le elezioni italiane segnalano che gli eurocrati, che non perdono mai l'occasione di perdere un'occasione, sono molto vicini al limite.

Il fatto fondamentale è che una politica di austerità per tutti - austerità incredibilmente dura nei paesi debitori, ma sempre una certa austerità anche nei paesi del centro europa, con nemmeno un accenno di politica espansiva da nessuna parte - è un fallimento completo. Nessuno dei popoli sotto l'austerità imposta da Bruxelles / Berlino ha mostrato neanche un accenno di ripresa economica; la disoccupazione è a livelli di distruzione della società.

Questo fallimento è arrivato quasi a distruggere l'euro per ben due volte, nel 2011 e ancora una volta la scorsa estate, quando i paesi debitori minacciavano di entrare in un terribile circolo vizioso di crollo dei prezzi delle obbligazioni e banche in difficoltà. Ogni volta Mario Draghi e la BCE sono intervenuti per contenere i danni, prima facendo prestiti alle banche perché acquistassero titoli del debito sovrano (LTRO), poi annunciando la volontà di acquistare debito sovrano direttamente (OMT); ma invece che imparare dall'esperienza, gli austerians europei hanno preso la calma artificiale dei mercati creata dalla BCE come il segno dell'austerità che stava funzionando.

Beh, la sofferenza degli elettori Europei gliel'ha fatta capire in un altro modo.

Come hanno potuto non vedere quel che stava arrivando? Beh, in Europa ancor più che negli Stati Uniti le persone molto serie vivono in una bolla di amor proprio per la loro stessa serietà, e immaginano che la pubblica opinione seguirà il loro esempio - ehi, è l'unica cosa responsabile da fare. Wolfgang Münchau nel suo articolo di oggi, arriva all'essenza [qui in italiano]:

“C’è stato un momento simbolico nelle elezioni italiane in cui ho capito che per Mario Monti, il primo ministro sconfitto, i giochi erano finiti. E’ stato quando – nel mezzo della campagna elettorale – nel bel mezzo di una rivolta anti-establishment – Monti se ne è andato a Davos per stare con i suoi amici della finanza e della politica internazionale. Anche se la sua visita al raduno delle elite tra le montagne svizzere non costituiva un problema, tuttavia è stato il segnale di una mancanza quasi comica di realismo politico“.

Ciò che i VSPs (Very Serious People) Europei non riescono a cogliere è che la percezione pubblica del loro diritto di governare dipende dalla loro capacità di raggiungere almeno alcuni risultati effettivi. Quel che hanno consegnato in realtà, tuttavia, sono anni di sofferenze incredibili accompagnate da ripetute promesse che la ripresa era proprio dietro l'angolo - e ora si stupiscono che molti elettori non si fidano più del loro giudizio, e si rivolgono a qualcuno, chiunque, che offra un'alternativa.

Vorrei poter credere che le elezioni italiane siano servite da campanello d'allarme - una ragione, ad esempio, per dare alla BCE il via libera per una maggiore espansione, una ragione per la Germania di fare un po' di politica espansiva e per la Francia di sospendere il suo non necessario stringere la cinghia. La mia ipotesi, tuttavia, è che avremo soltanto altre lezioni per gli italiani e per tutti gli altri su come non stanno dandoci abbastanza dentro.

E allora potrebbero esserci in agguato nel futuro dell'Europa figure peggiori di Beppe Grillo.

Vocidallestero

martedì 26 febbraio 2013

Risultati elezioni politiche 2013

Bene, gli scrutinii si sono conclusi, i giochi sono fatti, cominciamo quindi a fare il riepilogo e qualche considerazione.
Grande successo del Movimento Cinque Stelle, ampiamente previsto ma forse non in queste dimensioni, il movimento è il primo partito italiano con il 25,6 % delle preferenze, seguito da PD e PDL.
La coalizione di centrosinistra si aggiudica la camera dei deputati con uno scarto sulla coalizione di centrodestra di appena 125.000 voti, tanto basta per consegnare al centrosinistra il premio di maggioranza e quindi il 55 % dei seggi.
Al senato grande incertezza e sicura ingovernabilità, anche qui leggera prevalenza (percentualmente) del centrosinistra sul centrodestra, ma per effetto della dimensione regionale del voto, il centrodestra avrà 116 seggi, il centrosinistra 113, Movimento Cinque Stelle: 54 seggi, Lista Monti: 18 seggi. Al senato la maggioranza utile per governare è di 158 seggi, traguardo che non può essere raggiunto da nessuno se non da un "governissimo" centrodestra + centrosinistra, avendo il movimento dichiarato da sempre di essere indisponibile a qualsiasi accordo con i "vecchi partiti".

Qui scaricabili i dati ufficiali del ministero dell' interno:

Riepilogo camera dei deputati
Riepilogo senato della Repubblica

Quindi chi governerà l' Italia ? Il futuro è quantomai incerto, quello che è sicuro è che questa legislatura non durerà cinque anni, secondo la maggior parte dei commentatori non durerà neppure un anno, in questo momento la soluzione più gettonata è quella di un "governissimo" centrodestra + centrosinistra per trovare in tutta fretta un accordo su una nuova legge elettorale e qualche forma di accordo su. riduzione del numero dei parlamentari e attribuzioni di competenze alle due camere, c'è poi da eleggere il nuovo presidente della repubblica ( ad Aprile) per poi tornare al voto.

Nel frattempo il resto d' Europa ed i "mercati" sono in fibrillazione per la situazione di ingovernabilità e incertezza in Italia.
Per quanto ci riguarda, Berlusconi ed il centrodestra hanno fatto le solite promesse irrealizzabili, condite questa volta da un velato e confuso antieuropeismo che parlasse alla pancia degli italiani, questo ha consentito la brillante rimonta. Il centrosinistra è incappato in un suicidio politico, con la difesa ad oltranza dell' €uro, della politica di rigore, della cessione di sovranità e con l' appoggio totale ed acritico al governo Monti, non vediamo come potesse essere diversamente dopo vent' anni di menzogne.
La Lista Monti è stato un suicidio dal canto suo, per il titolare della lista, il prof. Monti, il quale da presunto salvatore "tecnico" della patria e dopo un anno di misure draconiane che hanno messo in ginocchio l' economia Italiana ha avuto la pessima idea di entrare nell' agone politico forte di una molto presunta popolarità acquisita durante l' azione di governo.
Il Movimento Cinque Stelle per il momento non ha ancora una vera e propria posizione anti €uro ( e quindi dal nostro punto di vista pro Europa ) ma è l' unica formazione politica che ha mostrato attenzione alle storture che l' Euro provoca ed a paventare, perlomeno, il ricorso ad un referendum.

sabato 23 febbraio 2013

venerdì 22 febbraio 2013

Flassbeck - gli economisti tedeschi ci sono o ci fanno?

Heiner Flassbeck, grande economista tedesco, da sempre critico verso la politica economica di Berlino, dal suo blog ironizza sugli economisti tedeschi che accusano di mercantilismo la Francia: ci sono o ci fanno?



Gli economisti tedeschi sono capaci di tutto. Ieri avevo appena finito di scrivere il mio commento sulla congiuntura citando la dichiarazione davvero geniale del nostro ministro dell'economia Roesler: "rifiuto la svalutazione dell'Euro, ma considero decisiva la battaglia per la competitività". Pensiero immediatamente superato da quello degli esperti economici intervistati da FAZ sul tema.

"La proposta nasce dal tipico pensiero mercantilista di provenienza francese", ha dichiarato il membro del Consiglio dei saggi Lars Feld alla FAZ. La BCE dovrebbe fare attenzione a non seguire il suggerimento di Hollande, sempre secondo l'esperto.

Alla base del mercantilismo, secondo Wikipedia, c'è il perseguimento di un surplus nel commercio estero mediante una pressione esercitata sui lavoratori. "I lavoratori e i contadini dovevano vivere sulla soglia di povertà affinché i beni potessero essere prodotti a buon mercato. L'obiettivo era la massimizzazione della produttività: il consumo e il piacere dei lavoratori non erano presi in considerazione. Se con un duro lavoro riuscivano ad avere il minimo necessario per il sostentamento, si era allora certi di raggiungere la produzione massima. Salari piu' alti, tempo libero e istruzione per le classi inferiori avrebbero portato al vizio, alla pigrizia e causato danni economici".

I francesi sono dei mercantilisti! La Germania ha ridotto i salari (in rapporto alla produttività) piu' di ogni altro paese, fatto che ha portato con sé una forte svalutazione reale. In Germania la domanda interna è cresciuta molto meno che in ogni altro paese industriale e la Germania ha accumulato avanzi commerciali con l'estero piu' di ogni altro paese nel mondo: ma sono i francesi ad essere mercantilisti.


Mancano le parole. E uno si chiede: è possibile che qualcuno pagato come professore possa fare tutto questo solo per ignoranza?   Aggiungo un testo scritto da me in passato e pubblicato da WSI con il titolo "Mercantilismo globalizzato":

"La Germania è di nuovo in piedi e la Francia non riesce piu' a capire il mondo. Tutta la Francia si chiede: che cosa abbiamo fatto di sbagliato negli ultimi anni tanto da perdere la battaglia economica sul Reno e da un giorno all'altro aver ricevuto dalla Germania il testimone di malato d'Europa. Il mondo si chiede di nuovo, o meglio, si dovrebbe chiedere, come è possibile che il peggior paese fra quelli ad alto salario, socialmente provato, considerato il fanalino di coda e il perdente della globalizzazione, sia risorto come una fenice dalle ceneri dell'economia europea? Dov'è la spiegazione? Dov'è lo specchio che chiarisce le relazioni d'insieme? E' stato Hartz IV? Sono state le numerose riforme? E' stata una scossa che finalmente ha risvegliato la società addormentata?

La risposta è semplice, ma nessuno la vuole ascoltare. E' andata cosi', come accade sempre quando un paese improvvisamente torna a volare ad altezze molto elevate. E' stato come in Svezia e in Gran Bretagna all'inizio degli anni '90, o come in Irlanda alla metà degli anni '80, come in Olanda all'inizio degli anni '80 o come in Finlandia dopo la caduta della cortina di ferro. E in fondo è andata come in Cina dopo il 1993, o in molti altri paesi asiatici dopo la grande crisi finanziaria, come in Giappone o in Svizzera all'inizio del decennio o come in Argentina dopo il crollo del 2001. Tutti questi paesi hanno qualcosa in comune: hanno svalutato drasticamente la loro moneta, prima che il boom iniziasse. O meglio, bisognerebbe dire che hanno fatto una svalutazione reale, migliorato la loro competitività internazionale, non importa se con il tasso di cambio oppure con il dumping salariale.

Questa spiegazione, lo so, non piace a tutti. I non economisti non la amano, perché non la capiscono e preferiscono storie piu' comprensibili. Che cosa significa "eliminare le rigidità strutturali" sarà chiaro a tutti coloro che almeno una volta hanno provato a rimuovere dal rubinetto dell'acqua le incrostazioni di calcare. Che la politica per il miglioramento della propria competitività abbia effetti internazionali, vale a dire la perdita di competitività altrove, viene semplicemente rimosso secondo il motto: il mondo è globalizzato, e cio' minaccia il nostro benessere. Poiché noi siamo sulla difensiva, nessuno ci potrà accusare se cerchiamo di resistere.

Il 99% degli economisti apprezzano questa spiegazione ancora meno. I neoclassici fra loro amano parlare della libertà di movimento dei risparmi, che non puo' essere limitata. Gli illuminati sostengono che i paesi non dovrebbero essere in competizione fra loro, perché la competizione non è una categoria macroeconomica. I sostenitori radicali del mercato sottolineano invece che la competizione fra paesi è necessaria quanto quella fra le imprese e che il risultato finale sarà superiore per tutti. I pragmatici fanno notare che la Germania in precedenza (a causa della riunificazione) aveva un cambio sopravvalutato e che negli ultimi anni ha solo fatto una correzione. Quelli ispirati dalla storia, dicono invece che il mercantilismo è stato superato già da molto tempo.   Perché preoccuparsi delle statistiche quando si hanno degli argomenti cosi' chiari? Le partite correnti tedesche ancora nel 1999 erano in deficit per 27 miliardi di dollari. Nel 2006 l'avanzo era di 160 miliardi di Euro dollari, con una tendenza crescente. La Francia nello stesso periodo ha trasformato un avanzo di 42 miliardi di dollari in un deficit di 45 miliardi. Tutti i paesi sopra indicati dopo il miglioramento della loro competitività hanno ottenuto degli avanzi commerciali. Poiché le partite correnti mondiali sono necessariamente in pareggio, questi paesi hanno spinto gli altri in una situazione di deficit sistematico e hanno migliorato la loro posizione grazie a una politica mercantilista.

Sarebbe un bel tema per il vertice G-8: quanto è esteso il pensiero mercantilista nel mondo e che cosa si puo' fare contro di esso? Se si discute del ruolo della Cina nel mondo, siamo tutti buoni ad accusare. Perché invece per una volta non interroghiamo sistematicamente i paesi in surplus e chiediamo loro come hanno fatto in poco tempo a raggiungere un avanzo cosi' grande?"

Vocidallagermania

mercoledì 20 febbraio 2013

Amazon.de - La nuova schiavitù dell' impero coloniale germanico.

Dov'è finita l'economia sociale di mercato?


"Ausgeliefert!" - L'inchiesta di ARD documenta le condizioni dei lavoratori interinali nei magazzini Amazon.de. Migliaia di migranti europei provenienti dai paesi in crisi lavorano sotto la minaccia di un licenziamento immediato e controllati da una security di estrema destra. Dov'è finita l'economia sociale di mercato? La politica cosa puo' fare? Da FAZ.net.

Mercoledi sera ARD ha raccontato una storia toccante sui lavoratori interinali del gigante internet Amazon.de. Un modello di business basato sull'intimidazione e il sospetto.

Che cosa succede quando in un sistema tutti hanno degli svantaggi ed è solo una parte ad avere dei vantaggi? Dovrebbe restare com'è, oppure essere cambiato? Sembrerebbe una domanda abbastanza facile. Come è possibile allora che un'azienda come Amazon sia l'unica ad avere benefici dalle regole in vigore, senza che nessuno faccia nulla? Perché le cose vanno in questo modo, non è stato possibile capirlo neanche dalla trasmissione di mercoledi' sera della ARD. E cio' non dipende dal rifiuto della società di rispondere alle domande - in questo caso non c'è bisogno di porle. Il reportage "Ausgeliefert!" sui lavoratori interinali presso Amazon.de ha mostrato chiaramente cosa si nasconde dietro la facciata del gigante Internet. Con un fatturato di 6.5 miliardi di Euro controlla almeno il 20% del commercio on-line e nella stessa grandezza d'ordine il mercato dei libri.

Da un punto di vista economico non dovrebbe essere molto importante il luogo dove compro le scarpe o i libri. Alla fine ci dovrà sempre essere un compratore ad ordinare questi prodotti. Con i proventi si dovranno pagare i salari, i contributi sociali e le tasse. Il resto è il profitto dell'impresa. In una "economia sociale di mercato" tutte le parti alla fine dovrebbero avere un vantaggio. E in essa nessuno dovrebbe lavorare sotto intimidazione. Ora: perché Amazon ha bisogno di un'azienda per la sicurezza chiamata H.E.S.S.? I lavoratori di questa azienda provengono dall'estrema destra e nel filmato minacciano i giornalisti della ARD. Forse perché il modello di business di Amazon puo' essere garantito solo in questo modo? Tutto cio' non ha molto a che fare con l'economia sociale di mercato.

L'intimidazione come modello di business

Entrambi gli autori dell'inchiesta, Diana Löbl und Peter Onneken, lo hanno descritto chiaramente; l'intimidazione da Amazon è un modello di business. L'azienda in Germania ha 7 centri di distribuzione nei quali sono impiegati sopratutto lavoratori interinali. La catena di intimidazione inizia già nelle fasi di reclutamento nei loro paesi europei di origine. Invece del promesso rapporto di lavoro diretto con l'azienda Amazon.de, prima dell'inizio del contratto entra in gioco un'azienda di lavoro interinale dal nome „Trenkwalder Personaldienste GmbH“. "Per Trenkwalder l'uomo è al centro - questo è il punto fondamentale in un rapporto di fiducia e collaborazione con i lavoratori e i clienti", cosi' racconta l'impresa sulla sua home page aziendale. Che cosa significa? Hanno offerto all'insegnante di arte spagnola Silvina un contratto di lavoro - con condizioni peggiorative. Nel centro Amazon di Bad Hersfeld i lavoratori vengono alloggiati in una struttura turistica in stato di insolvenza. Almeno qualcuno puo' gioire: secondo il racconto del Hersfelder Zeitung del 15 dicembre 2012, il liquidatore del parco turistico sarebbe molto soddisfatto per "tutta questa liquidità inaspettata".

Che cosa significhi questa bella storia per i lavoratori a tempo, i giornalisti lo raccontano in un'atmosfera carica di immagini dense. Hanno cio' di cui il buon giornalismo ha bisogno: tempo. Hanno affittato una stanza nella struttura turistica e sono riusciti a descrivere la reale situazione dei "lavoratori migranti" europei. Un concetto che normalmente viene utilizzato per le condizioni di lavoro cinesi. Ma di fatto non c'è molta differenza con il modello di sviluppo di Amazon. Il sud e l'est Europa sono come le province agricole e povere della Cina. Dalla sistemazione, al trasferimento in bus, fino alla sorveglianza da parte delle società di sicurezza: migliaia di lavoratori vengono degradati a meri oggetti. Sono utilizzati per un solo scopo: assicurare il successo commerciale di Amazon.

Un piccolo ingranaggio in questa macchina

Questi lavoratori migranti non rappresentano il classico lavoratore dipendente, come formulato nei libri sull'economia sociale di mercato, con diritti e doveri. Sono solo "un piccolo ingranaggio in questa macchina", come descritto dall'insegnante di arte spagnola. H.E.S.S. è onnipresente - e l'intimidazione funziona come descritto dai lavoratori: "Questa è casa nostra, queste sono le nostre regole e voi dovete fare quello che noi vi diciamo". E il principio arriva, ben documentato, fino alla violazione della propria sfera privata. Chi si oppone, deve fare i conti con i licenziamenti. Un funzionario Ver.di (sindacato) ha descritto le conseguenze di questa cultura della minaccia e della sfiducia istituzionalizzata: "loro", i lavoratori migranti, "non dicono nulla, tengono la frustrazione dentro di loro". Hanno bisogno del denaro e sperano in un'assunzione a tempo indeterminato. Questa speranza è ingannevole e finisce come nel caso di Silvina con il licenziamento poco prima di Natale.

"Non sono d'accordo con questo lavoro da schiavi", cosi' ha detto ai giornalisti uno dei guidatori di autobus che ogni giorno si occupa del trasferimento dei lavoratori. Ma anche lui è solo un piccolo ingranaggio in questa macchina Amazon. L'azienda è il piu' grande beneficiario, i suoi scagnozzi sono Trenkwalder, CoCo Job Touristik Gmbh e Co e la società di sicurezza H.E.S.S. Amazon è conosciuta per la sua contabilità creativa e per aver registrato solo perdite nei suoi affari in Germania. Questo danneggia non solo lo stato tedesco, ma tutti i concorrenti che si comportano in maniera corretta nei confronti dei loro dipendenti.

E' stata la politica ad aver reso possibile questa macchina

Da un punto di vista economico non ci sono grandi guadagni: i libri si possono comprare presso la libreria locale. Non è stata Amazon a creare questa macchina, ma la politica tedesca. E' stata lei a rendere possibile in Germania i lavoratori migranti sul modello cinese. Perchè sia andata in questo modo, nella trasmissione di mercoledi di ARD non è stato chiarito. Ma la domanda è superflua. La politica puo' cambiare la situazione - iniziando già da oggi.

http://vocidallagermania.blogspot.it/

N.d.r. vale la pena accedere al post originale e leggere i commenti, tra i quali alcuni di persone cha vivono in Germania da lungo tempo e possono offrire una testimonianza diretta.

martedì 19 febbraio 2013

Lars Seier Christensen - L' euro è destinato al fallimento

MILANO (Finanza.com)


L’euro è destinato al fallimento. Parola di Lars Seier Christensen, co-Ceo di Saxo Bank, secondo cui il recente rally della moneta unica è illusorio poiché il Vecchio continente non si è ancora dotato di un’unione fiscale.

“L’intero impianto è destinato a fallire -ha detto Christensen nel corso di un’intervista a Bloomberg- attualmente ci troviamo in una situazione in cui le persone pensano che il problema sia circoscritto o addirittura risolto, e non è per niente vero”.

Negli ultimi sei mesi l’eurodollaro è cresciuto di oltre 8 punti percentuali salendo sopra quota 1,37. “Diventerò un gran venditore in prossimità di quota 1,4 dollari”, ha detto Christensen che ha rilevato come l’ascesa della divisa di Eurolandia “sia stata favorita dalle misure politiche, non da quelle economiche”.

“Un'altra possibile causa di fallimento è rappresentata dall’uscita di Paesi che si sono rovinati entrando nell’euro, come quelli dell’Europa meridionale”. Secondo Christensen “quando la crisi colpirà la Francia sarà la fine”.

www.finanza.com

N.d.r. Mentre qui in Italia la discussione langue ancora su riforme strutturali si/no e non è difficile capire perchè, sapete qualcosa della shock economy ? Gli analisti all' estero danno per assodato che l' euro sia alla fine e che i paesi del sud Europa si siano rovinati entrando nella moneta unica. Due concetti semplici quanto veri, che hanno una base teorico - pratica molto consistente negli studi di economisti ultra ortodossi e che andiamo ripetendo da un tempo.

lunedì 18 febbraio 2013

Alberto Bagnai - Moneta e prezzi (dal fruttarolo)

Per quelli che: Riprendendo la sovranità monetaria e stampando denaro l' inflazione andrebbe alle stelle e per quelli che: se la BCE stampasse denaro per adottare una politica espansiva e favorire la crescita, l' inflazione a due cifre è dietro l' angolo, ecco un estratto dal libro "Il tramonto dell' euro"...un post un po' tecnico che vi costringe a leggere con un pochino di attenzione.

 (scusate, siccome mi servirà come punto di appoggio per scalzare dal suo piedistallo uno dei tanti geni dell'economia che si propongono di salvarci da noi stessi, pubblico qui un estratto del mio libro. Estratto che Gennaro Zezza ha criticato, dicendomi, in buona sostanza: "Ma Alberto, insomma, secondo me quella parte è un po' superficiale, perché nessun economista ha mai potuto seriamente pensare che i prezzi siano dati dal rapporto fra massa monetaria e beni in circolazione...". Santa ingenuità! Vedi, Gennaro, il nostro problema è che noi abbiamo studiato l'economia, perché ci interessava - caso tuo - o semplicemente per l'abitudine di fare comunque seriamente quello che il destino ci ha condotto a fare (caso mio e ovviamente anche tuo). Ma i geni dell'economia oggi in circolazione per gli studi televisivi sono dei matematici falliti che non hanno certo tempo da perdere per interrogarsi sul significato delle loro equazioni, né per consultare le statistiche della Banca Centrale Europea. Diamo loro una mano a riprender contatto con la realtà, perché l'informazione che essi diffondono, siccome è facilista, è anche fascista, e in Italia, piaccia o no, questa ideologia è ancora molto radicata).


Da "Il tramonto dell'euro", der Cavajere Nero, Reggio Emilia: Imprimatur, p. 199

Al mercato della frutta
Un mio maestro si esprimeva spesso con un contenuto sarcasmo verso gli economisti che lui definiva “di palazzo”, quelli che a fare la spesa non ci vanno mai, e quindi ignorano i problemi della gente comune. In effetti, nella mia esperienza personale, non posso che dargli ragione. Al mercato, quello vero, quello rionale, s’imparano tante cose. Sentite cosa mi è successo un paio di mesi fa.

Ero al mercato del Trionfale, in cerca di niente di particolare. Mi colpisce su una bancarella una cassetta di ciliegie all’insolito prezzo di 6 euro al chilo. Capite, vero, a cosa mi sto riferendo? Alla drupa del Prunus avium, sì, quell’oggettino che prima dell’entrata nell’euro, per chi se lo ricorda, si trovava anche a 6000 lire al chilo, e che quindi oggi te lo trovi a 12 euro (voi direte: “No, scusa, a 6 euro!”. E io vi dico: “Ma ci andate al mercato? Sarete mica economisti di palazzo...”). Insomma, questi 6 euro, per un economista, e per di più goloso... attiravano l’attenzione...

A mia volta attiro l’attenzione del fruttarolo (si chiama così), chiedendo un chilo di ciliegie. Iniziano le solite manovre: prima, con abile gesto, le prende da sotto il mucchio (dove ovviamente era solo tenebra, stridor di denti e muffa). Allora io gli significo con cortese fermezza di non provarci, che preferisco quelle buone. Poi me ne carica un chilo e mezzo. Ma io che ci faccio con un chilo e mezzo? E gli chiedo di scaricare il piatto della bilancia. E qui subentra la mozione degli affetti: “Guardi, dotto’, si mme le porta via je faccio ’n prezzo”. Insomma, come quello delle aguglie, ve lo ricordate?

Ma questa volta non era un sogno, e quindi, come dire, aderisco alla cortese offerta: “Va bene, fai due chili dieci euro”.

Mentre cerco l’odiata banconota nel portafogli, squilla il telefono: non il mio, il suo. Lo vedo guardare con aria preoccupata, e poi, con un cenno d’intesa, decide di rispondere.

“Mario? Dimme Mario... No, no, tu nun disturbi mai... No, c’ho un cliente, ma è ‘na brava persona, nun te preoccupa’, dimme... Come? Cosa? A Mario! A Mariooooo! Ma si tte l’avevo detto du’ ggiorni fa? Ma allora nun me voi proprio sta a ssenti’... M’hai sforato n’artra vorta er targhet de M3! Però così nun se po annà avanti. Vabbe’, allora quant’è er dato? Aspetta che mo ‘o segno... Sì, d’accordo, vabbe’, grazzie che m’a hai detto. Sì, sì, nun te preoccupa’, ce lo so, ce lo so... So tempi brutti pure pe’ tte... Vabbe’, ciao, daje, te chiamo dopo...”

E attacca.

Io, un po’ perplesso, porgo la banconota.

E lui: “No, aspetti, dotto’, me dispiace, ce sta un piccolo problema, sa, m’ha chiamato Mario...”.

E io: “Lo conosco?”

E lui: “Be’, penzo de sì, quello d’a a biccié, Draghi...”

E io: “Ah, lo conosce? Mi fa piacere, me lo saluti quando lo incontra. Ma intanto, io, se potessi, tornerei alla mia umile dimora...”

“No, vede, dotto’, qua ce sta un probblema. Io un prezzo nun glielo posso più ffa. Perché Mario m’ha detto che gl’è sfuggita de mano l’offerta de moneta... ‘O sa come so’ i regazzi. Quello è da poco che sta lì, ancora nun s’è abbituato...”

“Sì, ma io che c’entro?”

“No, dotto’, pe’ ccarità, lei nun c’entra gnente, ce lo so. Solo che quanno ho fatto ’sto prezzo, io m’ero basato su ’na massa monetaria de 10.000,4 mijardi de euri. Mo questo me cambia le carte ‘n tavola...”

“Ma perché, scusi, qual è il problema?”

“Ma dotto’, lei me pare uno che ha studiato, ecché nu’ lo capisce?”

“Veramente no”

“Ma scusi, ce lo sanno tutti: er livello dei prezzi è dato da ‘a massa monetaria divisa pe’ ‘a quantità de bbeni. È l’equazione de Fisce (n.d.r. Fisher)”

“Sì, va bene, ma questo Fisher era anche quello che nel novembre del 1929 diceva che tutto stava andando per il meglio...”

“Dotto’, io questo nun ce lo so, io so solo che mmo me tocca ricalcolaje er prezzo...”

E mentre io lo guardo allibito, lui estrae una calcolatrice e lo sento che borbotta: “Dunque... Oggi M3 sta a 10400 mijardi... La massa de bbeni nell’Eurozona è...”

Penso di defilarmi, prima che lui possa finire il calcolo, ritoccando al rialzo il prezzo, quando Milton Friedman si avvicina al banco e chiede: “Scusi, le zucchine a quanto stanno?”.

“Ah!” penso: “Meno male: è effettivamente un sogno pure questo”.

E mi sveglio.

Quelli che “la moneta causa i prezzi (e quindi ci vuole una Bancacentraleindipendente..).”

Ma come si fa?

Continua a stupirmi la diffusione dell’idea che il livello dei prezzi sia causato dalla quantità di moneta in circolazione. Il ragionamento pare sia questo: siccome uso i soldi per comprare i beni, il prezzo sarà il rapporto fra quanti soldi circolano, e quanti beni sono sugli scaffali. Peccato che sia un ragionamento che non funziona, e al quale nessun economista serio ha mai dato credito. Eppure è su questo ragionamento fasullo che si basa, in ultima analisi, l’idea che la Banca centrale debba essere “indipendente”. Perché solo se pensi che la moneta “causi” i prezzi, puoi trovare opportuno che la creazione di moneta sia sottratta al potere esecutivo per essere affidata a un quarto potere “tecnico” e “indipendente”. Per la precisione, questa conclusione richiede altri tre presupposti:

1) che l’inflazione sia un male assoluto;

2) che politici democraticamente eletti farebbero comunque un uso distorto della creazione di moneta (ad esempio usandola per finanziare spese clientelari prima delle elezioni);

3) che i “tecnici” ne farebbero sempre e comunque l’uso corretto.

Le cose che non funzionano, in questo ragionamento, sono diverse: la relazione fra moneta e prezzi è più complicata di quanto si voglia far credere; l’inflazione, entro certi limiti, non è un male assoluto ma un male relativo, nel senso che avvantaggia alcune categorie e ne svantaggia altre, come i dati e il ragionamento dimostrano; e infine i “tecnici” non hanno dato grande prova di sé quando sarebbe stato necessario, anche perché la loro “indipendenza” è stata essa stessa non assoluta, ma piuttosto relativa.


L’ideologia dichiarata sottostante al divorzio quindi era un’ideologia fasulla. Ce n’era un’altra, però, non dichiarata, che ha funzionato benissimo. Cerchiamo di mettere ordine in questi argomenti, cominciando dal primo: la moneta causa i prezzi.   Intanto, né il bancarellaro, né la multinazionale, quando mettono il prezzo sul cartellino, vanno a vedere quale sia la massa monetaria. Guarderanno miriadi di cose: il costo delle materie prime e della manodopera, la strategia dei concorrenti, lo stato della domanda nel loro mercato, ecc. Tutto, tranne la massa monetaria. Peraltro, anche se questa fosse importante, loro non avrebbero modo di conoscerla, perché le statistiche vengono pubblicate con settimane di ritardo. Quindi, a meno di non avere, come il bancarellaro del mio incubo, la fortuna di essere amici di Mario (quel Mario, beninteso), non ci sarebbe proprio modo di fare il conto. Chiaro no? L’idea che la quantità di moneta in circolazione causi direttamente i prezzi è semplicemente assurda.   Gli economisti sanno che l’effetto della moneta sui prezzi non è diretto (secondo l’equazione: prezzo uguale moneta diviso beni), ma indiretto, cioè passa, guarda caso, per la solita legge della domanda e dell’offerta. Vi faccio un esempio banale. In questo momento molti di noi stanno stringendo i cordoni della borsa, rinunciando a spese che desidererebbero o dovrebbero fare, per una quantità di motivi, incluso il fatto che lo Stato sta riscuotendo nuove tasse. Se invece di finanziarsi sottraendoci liquidità con le tasse, lo Stato si finanziasse creando liquidità, molte delle spese cui stiamo rinunciando diventerebbero di nuovo possibili: invece di pagare la rata dell’Imu, compreremmo qualcosa. In questo modo la domanda di beni e servizi aumenterebbe. Certo, in linea di principio questo potrebbe generare una certa pressione sul livello dei prezzi (per la legge della domanda e dell’offerta). Attenzione: dico “potrebbe”! Perché nelle condizioni attuali, con risorse disoccupate, gente a spasso, fabbriche che chiudono, di effetti inflazionistici difficilmente ce ne sarebbero: siamo in condizioni di eccesso di offerta, capite? Le fabbriche chiudono perché non riescono a vendere, cioè perché non c’è abbastanza domanda. Quindi ora una maggiore creazione di moneta, oggi, non causerebbe inflazione. In condizioni più floride, sperando di tornarci, potrebbe invece farlo, ma in ogni caso l’effetto sarebbe indiretto, passerebbe cioè per la domanda di beni e servizi.   E qui si arriva alla seconda cosa che non va.   Quando andate a fare la spesa, voi, vi portate sempre dietro un sacchetto di monetine e banconote? Non credo. La stragrande maggioranza delle transazioni avviene con moneta bancaria, movimentando depositi bancari, utilizzando credito bancario. La moneta, intesa come mezzo di pagamento, non si identifica cioè con il circolante, con le monete e le banconote che abbiamo in tasca, che sono una percentuale relativamente ridotta del totale dei mezzi di pagamenti   La Banca centrale, di questa massa di mezzi di pagamento dai quali dipende l’effettiva domanda di beni, non ha il controllo diretto. Gli economisti, in particolare quelli keynesiani, dicono che la moneta non è “esogena”, cioè controllata da una forza “esterna” e indipendente dal circuito economico (la Banca centrale), ma “endogena”, cioè determinata, in ultima analisi, dalle condizioni “interne” al mercato del credito. Guardate ad esempio cosa sta succedendo oggi. La Bce ha “iniettato” nel sistema svariate centinaia di miliardi di euro attraverso le operazioni di rifinanziamento a lungo termine (LTRO), ma le banche non hanno soldi da prestare. Perché? Per diversi motivi, incluso quello, banale, che preferiscono non erogare credito, in un periodo nel quale i loro bilanci sono fragili, e soprattutto lo sono le condizioni economiche generali, per cui chi presta non sa se rivedrà indietro i soldi.   Capito cosa significa che la moneta è “endogena”? Significa che l’ammontare totale dei mezzi di pagamento a disposizione per finanziare le spese (incluso il credito bancario) dipende in modo complesso dalle condizioni del sistema, inclusa la fiducia dei vari operatori del credito. La Banca centrale può governare indirettamente questo processo, ad esempio tramite i tassi d’interesse, ma non ha un controllo meccanico e diretto della creazione di moneta, intesa in senso ampio come insieme dei mezzi di pagamento (quello che gli economisti chiamano con la sigla M2 o M3). Lo dimostra il fatto che gli obiettivi di crescita della massa monetaria dichiarati dalla Bce, fissati al 4.5% da una decisione del Consiglio direttivo annunciata il 1° dicembre 1998 (Duisenberg, 1999), sono stati regolarmente disattesi nel tempo, come doveva ammettere con un certo imbarazzo il nuovo presidente Trichet qualche anno dopo, farfugliando che però l’obiettivo andava valutato in un non meglio specificato “medio periodo” (Trichet e Papademos, 2004).   E le cose poi non sono andate meglio.
     

La Fig. 35 trasmette bene entrambi i messaggi: si vede come da un lato la Bce abbia regolarmente disatteso, anche nel “medio periodo”, gli obiettivi che si era data (il tasso di crescita della massa monetaria è sempre stato superiore al 4.5%, quindi non c’è media che tenga...), e come dall’altro la crescita della massa monetaria sia stata sostanzialmente sconnessa dall’inflazione, che si è mossa molto di meno, rimanendo sostanzialmente aderente all’obiettivo del 2% nella media dell’Eurozona.

I due snodi del ragionamento secondo cui la Banca centrale deve essere indipendente, perché controllando la moneta controlla l’inflazione, sono entrambi fasulli: la Banca centrale non riesce a controllare l’offerta complessiva di moneta, che però non sembra influenzare troppo il livello dei prezzi. Nel 2001, quando la crescita di M3 superò il 10%, l’inflazione non raggiunse nemmeno il 3%[1].

Del resto, se la moneta causasse i prezzi, allora “moneta unica” implicherebbe “inflazione unica”. Ma i dati europei ci dicono che le cose sono andate in modo diverso. Dall’entrata nell’euro, i tassi d’inflazione dei paesi membri, che prima si erano molto avvicinati, si sono sparpagliati di nuovo, dando luogo a quegli scarti che, come ricordiamo, alimentano il ciclo di Frenkel, determinando la svalutazione reale del centro rispetto alla periferia.

(voi penserete: ma chi è il genio che oggi, nel XXI secolo, ragiona in un modo che, come ci ha ricordato istwine, veniva considerato fallace due secoli or sono? Un po' di pazienza e lo saprete...).

[1] Nota tecnica per gli espertoni, i quali diranno: “Sì, ma quel grafico non dimostra nulla, bisogna anche tener conto della crescita, cioè di quante transazioni la massa monetaria deve aiutare a svolgere, e della velocità di circolazione, cioè di quante volte la moneta passa di mano in un anno”. Certo! Lo dice anche Duisenberg (1999): l’obiettivo del 4.5% “si basa su una crescita reale del 2-2.5% all’anno, e su una riduzione della velocità di circolazione di M3 attorno allo 0.5-1% all’anno nel medio periodo”. I conti (per chi li sa fare) tornano. Dalla teoria quantitativa della moneta, MV=PY, usando le lettere minuscole per i tassi di variazione otteniamo m + vy = p, che con le cifre di Duisenberg diventa: 4.5 – 0.5 – 2 = 2 (nota: Duisenberg suppone che la velocità di circolazione diminuisca, da cui il -0.5). Solo che siccome la crescita reale dell’Eurozona è stata solo di 1.5 (in media), e quella della massa monetaria di circa il 7% (anziché il 4.5%), sembrerebbe che la riduzione della velocità di circolazione sia stata dalla 4 alle 7 volte maggiore di quella prevista dagli altri espertoni, quelli della Bundesbank! O forse il problema è che la moneta non causa meccanicamente i prezzi, come loro continuano a raccontarci.

lunedì 11 febbraio 2013

Lidia Undiemi intervista Alberto Bagnai

Beppe Grillo - Rivogliamo la sovranità monetaria



Finalmente anche Beppe Grillo sembra sensibilizzarsi al tema, grazie soprattutto a tanti attivisti della base del movimento che gli imputavano una politica ondivaga rispetto all' euro e che hanno organizzato diversi incontri nei Meet up con l' economista Alberto Bagnai.
Ricordiamo che Alberto Bagnai non è l' unico economista italiano ( quelli internazionali non si contano ) a pronunciarsi a favore dell' uscita unilaretale non concordata dell' Italia dall' Euro ( non dall' unione europea) ma è sicuramente quello che ha fatto lo studio più completo e organico, suffragato da dati inoppugnabili che è stato raccolto nel libro "il tramonto dell' euro" e che anima, da più di un anno il suo blog www.goofynomics.blogspot.it

giovedì 7 febbraio 2013

Intervista a Loretta Napoleoni

Riportiamo l' intervista a Loretta Napoleoni da "Critica Letteraria", precisiamo che non ci troviamo d'accordo in tutto e per tutto con l' analisi espressa, in particolare, il professore Bagnai ha ampiamente dimostrato come il problema sia stato di debito privato estero, non pubblico, in ogni caso ci sono moltissimi spunti interessantissimi nell' intervista, utili per alimentare una discussione.

Loretta Napoleoni è nata a Roma e vive a Londra da molti anni. È tra i massimi esperti di terrorismo ed economia internazionale. Collabora con la CNN, la BBC e scrive per Le Monde, El País, The Guardia, Internazionale e l’Unità. Tra i suoi libri: Terrorismo SpA (Tropea), Al Zarqawi (Tropea), Economia canaglia (Il Saggiatore), I numeri del terrore (con Ronald J.Bee, Il Saggiatore).
Il suo ultimo libro, scritto in collaborazione con Pierluigi Paoletti, Francesca Fogli, Paolo Musumeci e Chiara Ricci, si intitola Democrazia Vendesi. Dalla crisi economica alla politica delle schede bianche. Critica Letteraria l'ha incontrata per voi.

Iniziamo dal titolo del suo ultimo libro Democrazia vendesi. La nostra democrazia è veramente a rischio? E ritiene anche lei che la nomina di Mario Monti a Presidente del Consiglio sia stato, come definito da molti, un "golpe bianco"?
Un "golpe bianco" mi sembra un po' eccessivo, anche perché la decisione è stata presa non soltanto dall'Italia, ma anche dall'Europa unita. Non è stato ritenuto giusto andare alle elezioni in un momento di grande incertezza e instabilità del Paese. Certo, per quanto riguarda il cittadino, questa posizione è venuta da Bruxelles. Ne parlo nel libro e parlo anche di come alcuni parlamentari europei abbiano denunciato una situazione di questo tipo. La riduzione della democrazia non è, però, necessariamente legata a questo tipo di comportamento, anche se questo tipo di comportamento ha certamente contribuito a questa erosione della democrazia, ma è piuttosto relazionata al carattere 'eccezionale' delle politiche che si sono perseguite negli ultimi tre anni. Politiche che hanno portato a decisioni, come per esempio il Fiscal Compact, che hanno cambiato la Costituzione senza che questo avvenisse con un dibattito pubblico e attraverso una consultazione con la popolazione.

L'economista Alberto Bagnai ha definito l'Euro "non una moneta, ma un metodo di governo". Lei è d'accordo con questa affermazione? E ritiene che la svendita della nostra democrazia rientri in questa prospettiva?
L'Euro è una costruzione monetaria che non funziona. Non è vero che è stato creato per assoggettare una parte dell'Europa e per avvantaggiarne un'altra. Qui c'è un difetto di forma, che è un difetto economico e monetario, che ha portato a delle distorsioni. Situazioni del genere, del resto, si sono presentate anche in passato. Non penso, dunque, che l'Euro sia una forma di governo, assolutamente no. L'Euro è un sistema monetario che non funziona perché è stato creato senza tener conto dei principi della teoria economica e della teoria monetaria. Gli inglesi lo avevano predetto e, per questo motivo, non sono entrati nell'Euro.
All'estero, rispetto all'Italia, sono più di dieci anni,che si dibatte su questi temi, con volumi su volumi sull'argomento. Improvvisamente, in Italia, alcuni economisti se ne sono accorti.

Dal suo ultimo libro lei afferma che la crisi economica, di cui soffrono gli Stati periferici del Sud, derivi dal debito estero causato dall'Euro. Tutte le fonti di informazione, e gli stessi esponenti politici, parlano, però, di debito pubblico. Quale rapporto esiste tra debito estero e debito pubblico?
Il debito estero è il debito pubblico che viene finanziato emettendo buoni del Tesoro che sono stati comprati all'estero. La teoria economica Optimum Currency Area dice questo: se due economie diverse si uniscono, cioè che una è più forte e l'altra è più debole, quella più forte diventa automaticamente creditore netto di quella più debole. Che cosa significa? Significa che noi ci siamo indebitati con le banche estere che, avendo la stessa moneta, hanno avuto un incentivo a "colonizzare" questi mercati della periferia. Mercati in cui, prima dell'adozione dell'Euro, non erano molto presenti perché c'era il pericolo della svalutazione. Il debito pubblico, quindi, è stato finanziato indebitandosi all'estero. Questa situazione è cambiata con la crisi perché si è cercato di far ricomprare il debito pubblico alle banche della periferia. Si sono, perciò, riallineati i flussi finanziari. Oggi, la maggior parte del debito pubblico italiano (più del 60%) è nelle mani delle banche italiane che lo hanno finanziato da quando le banche straniere hanno deciso di non partecipare più alle aste. Perché? Perché avevano paura dell'implosione dell'Euro. Il debito estero e il debito pubblico, quindi, coincidono.

Nel suo ultimo libro spiega come, in base ai fondamentali dell'economia, la crisi dell'Euro fosse ampiamente prevedibile. Come è possibile, secondo Lei, fare un errore di questo tipo, se di errore si tratta? E ritiene che senza la crisi americana, la crisi dell'Eurozona si sarebbe comunque verificata?
La crisi dell'Euro si è verificata perché nessuno ha guardato i fondamentali dell'economia. Qui c'è stata una propaganda incredibile. Lo scrivo specificatamente nel libro nella sezione sulla "Caporetto finanziaria": su ciò che è successo in Italia dopo la svalutazione della Lira nel 1992. Mentre gli inglesi hanno detto: "No, noi non ci entriamo, perché i fondamentali dell'economia ci dicono che questa sarebbe una pazzia", noi abbiamo, invece, svalutato il patrimonio nazionale per entrare nell'Euro. Ci siamo mossi nel modo completamente opposto perché c'era una volontà politica. L'Euro è stato usato per motivi politici e questi motivi politici sono stati la transizione tra la I e la II Repubblica. Cosa di cui gli inglesi non ne avevano, invece, bisogno. Anche perché ciò che sapevano gli inglesi era ovvio che fosse conosciuto dai nostri "grandi professori".
Per quanto riguarda la crisi americana non c'entra nulla. La crisi dell'Eurozona si sarebbe verificata con o senza la Lehman Brothers. Questa è una crisi di fiducia nei confronti dell'Eurozona e, quindi, è indipendente dalla crisi americana.

Di fronte alla crisi dell'Eurozona tutte le forze politiche, comprese quelle di sinistra e alternative, propongono come soluzione gli Stati Uniti d'Europa o il "Più Europa". Ci vuole spiegare cosa, nei fatti, questo vorrebbe dire? E, secondo Lei, è una proposta credibile?
Più Europa non è possibile, lo spiego nell'ultimo capitolo. Per avere più Europa bisognerebbe avere un'armonizzazione fiscale. Dovremmo muoverci, cioè, verso un modello statunitense, ma questo vorrebbe dire che dovremmo rinunciare alla nostra sovranità fiscale. Non mi sembra che nessuno voglia questo. Siamo, di nuovo, in una situazione di grandissima propaganda dove vengono dette cose non vere. L'Eurobond non è possibile. L'ho spiegato nell'ultimo capitolo e, del resto, la Merkel lo ha ribadito svariate volte. Che cosa significa Più Europa? La verità è un'altra. I mercati finanziari hanno ricominciato a comprare il debito pubblico dei Paesi della periferia, che ha un tasso d'interesse molto elevato e questo sta spingendo gli spread verso il basso. Questa politica di Austerità, quindi, ha funzionato per ridare fiducia al mercato finanziario e noi ci indebiteremo ancora di più. Invece di risolvere il problema del debito, abbiamo creato le condizioni per allungare questo ciclo debitorio. Lo spread è ai minimi storici degli ultimi dieci anni. Perché? Perché noi paghiamo un tasso d'interesse molto più elevato di quello che il mercato finanziario può raccogliere in qualsiasi altra parte. Abbiamo ricominciato a gonfiare la stessa bolla che gonfiavamo agli inizi degli anni 2000. L'economia reale, invece, è in ginocchio. Questa è una situazione, da un punto di vista economico, completamente assurda: abbiamo una contrazione di tutti gli indicatori economici, ma i mercati finanziari sono ben disposti a prestarci i soldi per il semplice fatto che sono sicuri che si farà di tutto per evitare il default. Per questo, più Europa è una formula che non ha significato. Un altro discorso è quello di ipotizzare una vera armonizzazione economica. Oggi, invece, abbiamo una contrazione della periferia europea che è il prezzo che si è pagato per tranquillizzare i mercati.
Per quanto riguarda le battaglie che la sinistra dovrebbe intraprendere e che, invece, non fa il discorso è molto semplice: la sinistra e la destra non ci sono più. C'è, invece, una corsa verso il centro e un atteggiamento di deferenza nei confronti dei colonizzatori da parte di tutte le forze politiche attualmente esistenti. Non c'è un dibattito in questo Paese: sul tema dell'Europa e dell'Euro nessuno dice qualcosa di diverso. Sono tutti schierati dalla stessa parte e la sinistra non ha una visione economica alternativa perché tutte le nazioni della periferia sono dipendenti da quelle del Nord (il Nord ci manda gli aiuti, i crediti). Senza questa dipendenza dovremmo fare una politica vera, una politica alternativa e nessuno lo sa e lo vuole fare. Questo discorso vale per tutta quanta la periferia perché questo è ciò che succede quando i popoli vengono colonizzati.

Siamo arrivati all'ultima domanda. La sua proposta è quella di uscire dall'Euro? E cosa risponde a chi ribatte a questa tesi con l'affermazione che un'uscita dall'Euro porterebbe una forte inflazione e l'isolamento internazionale del nostro Paese?
Per quanto riguarda l'inflazione è un'obiezione senza senso, ma magari avessimo un po' di inflazione, siamo in deflazione totale. Chi lo dice non conosce la teoria economica, ma questo non mi sorprende. Tutti i maggiori economisti internazionali parlano di uscita dall'Euro, di un Euro a due velocità e nessuno parla di inflazione. In ogni caso, la paura dell'inflazione è in relazione solo al fatto di tornare a gestire la propria moneta e quindi la potrebbe stampare indipendentemente dalle decisioni di Bruxelles. Chi dice che la benzina andrà a 7 euro fa, invece, terrorismo economico, non è assolutamente vero: il 75% del costo della benzina deriva dalle accise che noi dobbiamo pagare per poter pagare il debito.
Io propongo un Euro a due velocità, rinegoziare il debito, bloccare il meccanismo di indebitamento perpetuo e, a quel punto, abbattere le accise perché questi soldi non servirebbero più.
Sul presunto isolamento internazionale risponderei che la Svezia, la Danimarca, l'Inghilterra non sono nell'Euro, la Norvegia neanche nell'Unione Europea. Che problema ci sarebbe, quindi?
Uscire dall'Euro non vorrebbe dire diventare i paria internazionali
Non c'è dibattito, non c'è dibattito ad alto livello e, quindi, continuiamo con questa propaganda e in questo terrorismo economico. C'è un'ignoranza abissale, la gente non sa nulla perché chi dovrebbe fare informazione, in realtà fa disinformazione in questo Paese.

L'intervista è terminata. La ringrazio molto per il tempo concessoci e le auguriamo buon lavoro.

Grazie a voi.

criticaletteraria.org

Siamo sicuri che la Germania sia un paradiso ?

Abbiamo più volte scritto di come i luoghi comuni e la disinformazione, in tempi così delicati, caratterizzati da una gravissima crisi economico-sociale in tutta Europa e dalle elezioni prossime venture, sia un fardello che non ci possiamo permettere, che cambia le regole della democrazia.

i media continuano a propinarci il concetto che il successo della Germania è dovuto alle riforme strutturali, in particolare del mercato del lavoro, che, secondo i soliti soloni del mainstream, i paesi PIIGS non avrebbero attuato, e qui starebbe il loro peccato originale.

Quello che invece tutti quelli un po' più avveduti sanno, è che il successo è dovuto si alle riforme, che però sono andate a scapito dei più deboli e che la Germania ha attuato una politica deflazionistica, tesa al controllo dell' inflazione mediante la compressione dei salari, in modo da poter praticare un mercantilismo spinto, in particolare verso il resto d' Europa.

Infatti da quando c'è l' euro, la Germania si trova costantemente in surplus commerciale, ma non un solo euro di questa ricchezza è entrato nelle tasche dei lavoratori, che infatti hanno visto ridursi il potere d' acquisto reale dei loro salari, di un 7% in dieci anni, mentre sono aumentati in maniera esponenziale i salari alti e altissimi e i profitti d' impresa.

Germania: report sulla povertà, prima censurato e poi scoperto

Esce allo scoperto uno report sulla povertà della Germania, censurato dal governo tedesco. Scottanti rivelazioni....

La storia la racconta il Business Insider. Nel settembre scorso, il ministro del Lavoro tedesco ha mandato un report dal titolo "Povertà e ricchezza" ai suoi colleghi di governo. Una ricerca consistente, di oltre 500 pagine, destinata a rimanere riservata tranne un riassunto finale.

Inutile dire che il documento è poi trapelato, e il contenuto è apparso scottante: descrive una realtà sociale che ogni anno si aggrava.

Nel 1998, ad esempio, il 50% più povero della popolazione tedesca possedeva il 4% della ricchezza, mentre il 10% più ricco possedeva il 45%. Nel 2008, il 50% più povero è arrivato a possedere appena l'1%, mentre il 10% più ricco ha toccato quota 53%.

Non solo: anche il numero dei poveri in Germania ha continuato a salire: nel 2008 il 15,5% dei cittadini, nel 2010 il 15,8. Tra coloro che vivono da soli, o tra i genitori single, arriva fino al 37%. La soglia di povertà in Germania è a 940 euro.

Ma la cosa più interessante è che il report è stato censurato nella versione consegnata alla stampa, e censurato sostituendo l'originale con balle belle e buone. Leggete questo scottante periodo:

"Mentre i salari più alti sono cresciuti negli ultimi 10 anni, quelli più bassi sono crollati. La forbice salariale è aumentata, e questo potrebbe urtare il senso di giustizia della gente e mettere a rischio la coesione sociale."

Decisamente troppo osé, e poi cosa penserebbero gli italiani che ritengono che l'operaio tedesco nuoti nell'oro nel Paese di Bengodi? Così, ecco la versione edulcorata per la stampa tedesca:

La discesa dei salari è l'espressione di miglioramenti strutturali del mercato del lavoro, e ha creato tante opportunità per i disoccupati.

Voilà, il solito blabla dei robi strutturali che suona sempre bene è servito. Poi si sono operati interi tagli, come la frase in cui si riportava: "Nel 2010 oltre quattro milioni di persone hanno lavorato per meno di 7 euro l'ora". Zac! Via, non si deve sapere.

Nel governo e nell'opinione pubblica tedeschi è scoppiato un bel cancan. D'altronde, non è bello che un governo tenti di nascondere la verità sotto il tappeto. In Italia, invece, neanche una parola: ciò che è davvero scottante, qui, non è che in Germania si pratichi la censura. E' che in Germania ci siano poveri, salari miserabili, rischio di crisi sociali. Quello proprio non si deve sapere.

crisis.blogosfere.it




domenica 3 febbraio 2013

Anche i tedeschi iniziano a pensare che la crisi europea sia colpa della Germania

Bisogna essere grati a Morgan Stanley, la grande banca d’affari americana, che in un suo studio del 17 gennaio scorso ha distillato i numeri decisivi di quella trappola recessiva che va sotto il nome di euro. Trappola per tutti i cittadini dell’Eurozona, tranne quelli che abitano nel territorio compreso fra Amburgo e Monaco (da nord a sud) e fra Berlino e Colonia (da est a ovest). Perché se è vero che il tasso di cambio ufficiale fra il dollaro e l’euro oscilla attorno a 1,33, il tasso corretto, quello che rifletterebbe le differenze di competitività e di fondamentali economici, è diverso da paese a paese: la Germania dovrebbe cambiare ogni suo euro contro 1,53 dollari, l’Italia invece contro 1,19. In mezzo, fra i tedeschi e gli italiani, ci starebbero tutti gli altri paesi dell’Unione monetaria (tranne la Grecia, che dovrebbe cambiare addirittura a 1,07). Detto in altre, più comprensibili parole, le esportazioni tedesche corrono grazie a una moneta che è sottovalutata del 13,2 per cento rispetto al suo valore reale, invece quelle italiane restano al palo a causa di una moneta sopravvalutata del 12,1 per cento. Quando la Germania compete con l’Italia sui mercati mondiali, parte con un vantaggio del 25 per cento che dipende da una sola cosa: siamo tutti e due dentro all’euro, che premia loro e punisce noi, e non avendo più una moneta nostra noi italiani non possiamo intervenire autonomamente sul tasso di cambio. Per sfangarla dobbiamo ricorrere alla “svalutazione interna”, cioè alla macelleria sociale fatta di tagli della spesa pubblica, nuove tasse e stipendi bloccati. Col bel risultato che i consumi scendono, il Pil si contrae, il gettito fiscale idem e ci ritroviamo più indebitati di prima. Se recupereremo un po’ di competitività, servirà solo a pagare interessi sul debito pubblico diventati nel frattempo più onerosi; perché se è vero che i tassi d’interesse sul debito pubblico italiano sono un po’ diminuiti grazie anche all’austerity del governo Monti (ma in realtà grazie soprattutto alla Bce di Mario Draghi e alla sua decisione di acquistare i titoli del debito pubblico dei paesi in crisi sul mercato secondario “senza limiti”), è altrettanto vero che il rapporto debito/Pil si è velocemente logorato: fra il terzo trimestre del 2011 e il terzo del 2012, cioè sotto il governo Monti meno un mese e poco più di governo Berlusconi, siamo passati da un debito pubblico che era pari al 119,9 per cento del Pil a uno che è il 127,3 per cento: 7,4 punti percentuali in più! Quello che abbiamo guadagnato sul fronte dello spread, lo abbiamo perso sul fronte dell’indebitamento in rapporto alla ricchezza prodotta. Non si era mai visto un deterioramento così cospicuo nel giro di un anno, se non ai tempi della manovra «lacrime e sangue» di Giuliano Amato nel luglio 1992: quell’anno il debito pubblico italiano arrivò al 116,2 per cento del Pil, mentre alla fine del 1991 si era fermato a 106,9.

Autorevoli autodenunce

Alcuni dicono: non è colpa dell’euro e neppure della Germania, è colpa dei paesi europei che, Italia in testa, non hanno fatto per tempo le riforme strutturali nelle quali si è impegnata la Germania alla fine degli anni Novanta, mentre si decideva la nascita dell’euro, e nei primi anni del nuovo secolo. Ci tocca farle oggi, ed è molto più difficile l’operazione ed è incerto il risultato finale. Ragionamento fallace. In realtà, la colpa della crisi dell’Unione monetaria europea è anzitutto dei tedeschi. E a dirlo non sono politici italiani versati nella retorica antieuropeista e antitedesca per esigenze di campagna elettorale: no, a criticare l’architettura dell’euro e le politiche passate e presenti di Berlino sono autorevoli firme tedesche. Per esempio Wolfgang Münchau, l’editorialista del Financial Times che ha fatto tanto incavolare Mario Monti, e Jörg Bibow, economista che insegna al Levy Economics Institute del Bard College di New York ed è autore di uno studio del maggio scorso che spiega come a dinamitare l’euro sia stata la Germania sin dall’inizio.

Münchau scrive e ripete da anni che non sono state le riforme, genericamente intese, a produrre il boom dell’export tedesco, ma la moderazione salariale, che ha generato una riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto. Se la questione principale fossero le riforme, l’Italia non doveva avere i problemi che ha avuto: il sistema pensionistico italiano era giudicato dal Fondo monetario internazionale (Fmi) uno dei più sostenibili del mondo già prima della riforma Fornero grazie alle riforme Dini e Maroni. I sermoni della Merkel che invitano gli altri paesi dell’Eurozona a replicare la ricetta tedesca suonano insensati alle orecchie dell’editorialista tedesco: «Una riduzione nei costi per unità di prodotto rappresenta un guadagno solo se la fa un paese e gli altri no. Ma se la proponete come la politica che ogni paese della zona deve praticare, alla fine tutti si ritroveranno negli stessi rapporti di forza iniziali».

Mano d’opera e inflazione

Ma il vero fustigatore delle politiche di Berlino è Jörg Bibow; è lui che ribalta sulla Germania l’accusa di indisciplina che i tedeschi normalmente indirizzano alla periferia dell’Europa: è stata Berlino per prima a violare lo spirito di Maastricht e le indicazioni della Bce, e da lì sono derivati i mali attuali. Spiega Bibow nella sua ricerca “The Euro Debt Crisis and Germany’s Euro Trilemma” che l’euro e la creazione della Bce dovevano rappresentare il culmine di cinquant’anni di cooperazione monetaria europea volta a limitare le svalutazioni competitive, quelle incentrate sulla modifica dei tassi di cambio e che miravano di fatto a impoverire il proprio vicino. Con l’introduzione della moneta unica i tassi di cambio sono spariti, ma la competizione si è spostata inopinatamente sul costo della mano d’opera e sul tasso di inflazione. «La regola aurea di una unione monetaria richiede che le tendenze nei costi per unità di prodotto nazionali stiano in linea con il tasso di inflazione comune al quale i membri dell’Unione si sono impegnati, ma questa è stata violata», scrive Bibow. «Una realtà ben nota è che la tendenza del costo per unità di prodotto in Germania si è allontanata per un certo tempo dalla norma di stabilità del 2 per cento, arrivando a sfiorare lo zero in regime di euro (iniziato già l’1 gennaio 1999, quando diventa possibile fare operazioni finanziarie in euro, mentre la moneta entra in circolazione l’1 gennaio 2002, ndr). Quando la Germania divenne supercompetitiva, i suoi soci nell’euro persero competitività in una misura equivalente a una svalutazione del 20 per cento in epoca anteriore all’unione monetaria».

Quando, nel 1996, la Germania ha deciso unilateralmente di imbarcarsi in una politica di tasso di inflazione più vicino a 0 che a 2, e di perseguirla comprimendo i salari e la domanda interna, il destino dell’Eurozona è stato segnato prima ancora che nascesse: l’unione monetaria che stava per costituirsi attorno al comune impegno dei paesi partecipanti a perseguire «un tasso di inflazione inferiore ma prossimo al 2 per cento» (come ancora oggi si può leggere nella homepage della Bce) si sarebbe destabilizzata, era solo questione di tempo.

Un avvocato difensore della Germania e dell’euro a questo punto potrebbe intervenire dicendo: «Ma gli altri paesi dell’Unione Europea non potevano non capire il senso di questi fatti mentre accadevano, e avevano due possibili scelte: condizionare la loro partecipazione all’Unione monetaria al rispetto dei criteri da parte della Germania, oppure imbarcarsi anche loro in una politica di inflazione zero». Più facile a dirsi che a farsi. Uno degli strumenti della strategia tedesca per il raggiungimento della ipercompetitività è stato proprio quello di incoraggiare l’indebitamento pubblico e privato negli altri paesi Ue: anziché reinvestire in Germania il suo attivo della bilancia del commercio con l’estero (che è cresciuto di 10 punti percentuali da quando è stato istituito l’euro!) facendo lievitare i salari, cosa che avrebbe fatto lievitare i consumi e quindi l’inflazione, i tedeschi hanno investito i loro soldi in titoli di Stato e obbligazioni bancarie dei paesi dell’Europa mediterranea, alimentando bolle immobiliari e indebitamento pubblico. In questo la Bce è stata un alleato oggettivo della strategia tedesca, perché ha mantenuto il costo del denaro a un livello intermedio fra quello che avrebbe dovuto essere in Germania e quello che avrebbe dovuto essere nei paesi del sud Europa; col risultato appunto di scoraggiare l’indebitamento in Germania e di incoraggiarlo nei cosiddetti paesi Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna). Scrive Bibow in un editoriale apparso su El Pais: «I flussi di credito dalla Germania furono fondamentali nel rendere possibile che persistessero divergenze all’interno dell’Eurozona e che crescessero gli squilibri. Lì risiede anche l’origine dell’odierna esposizione della Germania ai problemi di solvibilità nella periferia europea. Questi dati di fatto dovrebbero essere ben noti, ma l’interpretazione ufficiale scarica la colpa interamente sui paesi debitori».

La forza di America e Giappone

Il problema dunque l’hanno creato principalmente i tedeschi, e il problema non può essere risolto senza di loro; se non si prende in considerazione la soluzione del default selettivo nei paesi sotto pressione, che avrebbe come conseguenza la fine dell’euro, la via maestra dovrebbe essere quella della mutualizzazione del debito. I tedeschi, cioè, dovrebbero garantire i debiti degli altri paesi dell’Eurozona in cambio degli impegni al risanamento dei conti da parte di questi ultimi. Ma da questo orecchio Berlino non ci sente, come spiega suggestivamente Martin Wolf (britannico di origini austriache), altro editorialista del Financial Times: «La Germania come vuole che sia organizzata l’Eurozona? Questo è quel che capisco della posizione delle autorità politiche e monetarie tedesche: no agli eurobond; no a ulteriori fondi per il Meccanismo di stabilità europeo (non hanno voluto concedergli la licenza bancaria che gli avrebbe permesso di procurarsi altro credito, ndr); no a una vera unione bancaria (l’unione entrerà in funzione fra parecchi anni e non prevederà nessuna tutela comune dei depositi, ma solo una supervisione delle attività delle principali banche, ndr); no a deviazioni dall’austerità fiscale, anche in Germania (in base al Fiscal compact nessuno Stato potrà più aumentare il proprio debito di una percentuale superiore allo 0,5 per cento del Pil all’anno, ndr); no al finanziamento monetario dei governi (cioè no alla svalutazione, ndr); no al rilassamento della politica monetaria dell’eurozona (cioè no a ulteriori riduzioni del costo del denaro, ndr); no a un boom creditizio in Germania. Il paese creditore, nelle cui mani sta il potere in tempo di crisi, sta dicendo “nein” almeno sette volte». L’unica cosa a cui la Germania dice sì è il doloroso aggiustamento strutturale dei paesi indebitati in cambio dei quattro soldi del Meccanismo di stabilità europeo. Ma la ricetta non può funzionare per almeno due innegabili motivi. Primo, i casi di Irlanda, Grecia, Spagna e Italia dimostrano che le politiche di austerità producono recessione che logora il rapporto debito/Pil, in attesa di un ritorno alla crescita che forse renderà il debito in qualche modo sostenibile, ma non lo eliminerà. Allora come potranno i paesi in crisi rispettare l’impegno, contenuto nel Fiscal compact e voluto da Angela Merkel, di ridurre di un ventesimo all’anno il loro indebitamento eccedente il tetto del 60 per cento del Pil? Per raggiungere tale demenziale obiettivo i paesi Piigs dovrebbero semplicemente smettere di pagare le pensioni e di provvedere copertura sanitaria per qualche anno. Secondo: mentre l’Eurozona si dissangua a colpi di “svalutazione interna” per recuperare competitività, i paesi extraeuropei perseguono lo stesso obiettivo ricorrendo alla tradizionale svalutazione monetaria. In sei mesi il dollaro Usa è passato da 1,22 sull’euro a 1,33, mentre è di pochi giorni fa la notizia che il governo giapponese ha minacciato la sua banca centrale che avrebbe messo mano ai suoi statuti e ridotto la sua indipendenza se non si fosse decisa a deliberare una svalutazione dello yen. Il presidente della Bundesbank Jens Weidmann ha gridato al pericolo di guerra valutaria innescata da una politicizzazione delle banche centrali, ma le sue urla, diversamente da quello che accade quando le emette in Europa, non gioveranno a nulla. L’amara realtà è la seguente: Usa e Giappone si mangeranno come niente il recupero di competitività che l’Italia e gli altri paesi europei indebitati stanno riconquistando con sforzi sanguinosi.

Da cui un’amara quanto logica conclusione: l’Eurozona si avvia a implodere, e i tedeschi non hanno intenzione di fare nulla che eviti questo esito. Perché preferiscono la fine dell’euro alla fine della loro indipendenza politica ed economica in un’Europa politicamente ed economicamente unita.

http://www.tempi.it

Paolo Manasse - La Crisi dell'Eurozona Non è Finita


In un articolo su Voxeu il professore di Macroeconomia e Politica Economica Internazionale all'Università di Bologna Paolo Manasse afferma che la crisi dell'eurozona non è affatto finita e anzi volge al peggio: a differenza degli USA, l'eurozona rimane bloccata in uno shock di tipo permanente e man mano che ad ogni trimestre di stagnazione le tensioni aumentano, le prospettive di soluzione sembrano allontanarsi sempre di più.

Così Manasse:   Nonostante l'apparente calma sui mercati finanziari, non bisogna farsi illusioni su una prossima fine della tempesta. Infatti, sembra che siamo ancora nell'occhio del ciclone.   Quando Mario Draghi ha giurato che l'euro era un progetto irreversibile, è tornata una certa calma. Eppure, le forze che in futuro potrebbero portare a un crollo della zona euro non solo non sono sotto controllo, ma si stanno rafforzando. In parte a causa di errori politici gravi commessi dai leader europei, gli "shock asimmetrici" sono cresciuti dall'inizio della crisi, e la zona euro ancora manca di strumenti credibili per affrontarli ex post'.

Per chi volesse leggere tutto l' articolo, lungo ma interessantissimo, competo di grafici, rimandiamo a voci dall' estero, tramite il link sottostante. 
http://vocidallestero.blogspot.it

Seminerio - Il fuoco sotto la liquidità, un anno dopo

Viviamo un momento piuttosto particolare, in Eurozona: mercati euforici e fondamentali macro in costante deterioramento. Oggi come un anno addietro di questi tempi, quando scrivevamo questo. Non abbiamo ancora risolto nulla, ma il rischio di morte imminente (quello che i gestori tanto cool chiamano tail risk) sembra scongiurato. Il problema è che, nel frattempo, gli squilibri macroeconomici si allargano e la malattia lambisce ormai la Germania. Il nome del gioco resta sempre quello: comprare tempo, in attesa del messianico settembre 2013, il momento delle elezioni tedesche.

Qualche dato: la Spagna ha ripreso a vendere il proprio debito sovrano a mani basse, su praticamente tutte le scadenze. Eppure la situazione reale del paese continua a peggiorare a vista d’occhio: le ultime stime prevedono, a consuntivo del 2012, un rapporto deficit-Pil ad uno stratosferico 9 per cento, malgrado le continue manovre correttive effettuate in corso d’anno, pari ad un raccapricciante importo di 62 miliardi di euro tra tagli a salari pubblici, sussidi di disoccupazione, spesa per istruzione e sanità. Quest’anno, poi, il rapporto debito-Pil di Madrid è atteso toccare il 97 per cento, secondo stime del Fondo Monetario Internazionale.

Il rendimento del titolo di stato decennale di Madrid è sceso al 4,8 per cento, eppure la produzione industriale sta regredendo all’età della pietra. Questo è il clima surreale che viviamo oggi, dopo la promessa/minaccia di Mario Draghi, ad agosto, e la “benevola negligenza” tedesca a non chiedere nuove correzioni (che probabilmente avrebbero portato ad una rivolta armata nelle piazze europee): un’ossimorica quiete euforica regna in Eurozona, mentre i fondamentali marciscono. Mariano Rajoy fa finta di nulla e procede, ora che gli investitori sono tornati a comprare il debito spagnolo e l’esigenza di chiedere aiuto alla Troika è venuta apparentemente meno. Esattamente come per l’Italia, del resto, la Spagna sta vivendo una disintegrazione macroeconomica ma un aumento di gettito fiscale, in una manovra prociclica che ormai si ripete uguale a se stessa, in attesa della resa dei conti finale.

E mentre da noi si discute di Imu sulla prima casa e crediti d’imposta per tutti senza copertura, a testimonianza del fatto che il signore rende pazzi i paesi che vuole perdere, la poderosa Germania potrebbe aver registrato, nel quarto trimestre del 2012, una contrazione del Pil pari allo 0,5 per cento, a causa soprattutto di una brusca frenata degli investimenti. Se vi pare poco pensate che, secondo il criterio americano, sarebbe un meno 2 per cento secco su base annualizzata. L’anno si chiude con un progresso dell’economia tedesca dello 0,7 per cento, ed un avanzo di bilancio dello 0,1 per cento di Pil. Come noto, i tedeschi possono giocare su più tavoli regionali, hanno una importante presenza in Asia e sono forti esportatori negli Stati Uniti ma resta il fatto che, se l’Europa si sbriciola, difficilmente Berlino potrà pensare di spostare la Cancelleria e i Laender nel Mar Cinese, anche se ora stanno meditando su una nuova stretta fiscale sulla stessa falsariga che li ha portati, nel corso della storia, a combattere guerre sino all’ultimo bambino, proprio ed altrui.

Quindi, in sintesi: ampia e crescente divergenza tra andamento dei mercati finanziari (che beneficiano del mutato clima, almeno per il momento) ed economia reale. In pratica, una delle tante bolle create sinora. Fino al momento in cui bisognerà cercare di riconciliare questa divergenza. Ciò potrà avvenire in due modi: o si chiederanno nuove manovre correttive e giungeremo rapidamente alla fine della nostra civiltà; oppure si prenderà atto che si è sbagliato tutto quello che era possibile sbagliare e bisognerà cambiare paradigma, rinviando il consolidamento di bilancio a ere migliori.

Sempre lì ti aspettiamo, Angela, facci sapere.

http://phastidio.net/



sabato 2 febbraio 2013

Linea d'ombra - Quattro economisti a confronto



Se riuscite a resistere all' invadenza della conduttrice, il dibattito è molto interessante

Il tradimento del sogno europeo



Il popolino ignorante, non sa quale sia il suo bene, per fortuna ci siamo noi, oligarchia illuminata, che guideremo la gente verso un futuro più giusto e più prospero, soprattutto per noi, e chi se ne frega se nessuno di noi viene dalla politica, ma siamo tutti compagnucci di merende della Goldman Sachs, siamo stati tutti, almeno una volta, ad una riunione Bilderberg, e qualcuno è pure presidente per l' Europa della commissione trilaterale, perchè vi perdete in queste sciocchezze, brutti complottisti e populisti ? Noi siamo il vostro futuro !

Post più popolari